Ottavi di Champions League: Juventus-Porto 1-0

di Andrea Lapegna


La Juventus mette in cassaforte i quarti di finale vincendo 1-0 in casa. Fatali al Porto l’atteggiamento remissivo di partenza e l’inferiorità numerica. Buona prova in gestione.


[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]I[/mks_dropcap]ritorno degli ottavi di Champions è un toccasana per noi juventini. Ha il grande, irrefutabile merito di spezzare quell’assurdo clima di assedio cui siamo costretti in Italia. Al tempo stesso, ci innalza alle vette del maggior torneo europeo, come a premiarci per la grande fatica con cui sopportiamo le bassezze del Bel Paese, ricompensandoci con la sua aria pulita in vetta. Oltretutto, ci permette di misurarci con quella che deve essere considerata a tutti gli effetti la nostra casa, sia per obiettivi che per un fisiologico distacco dai livelli (morali e sportivi) del campionato italiano. Quindi, immergiamoci a pieni polmoni nella Champions League, perché ce lo siamo meritato un po’ anche noi tifosi.

Per l’occasione, Allegri ritrova i titolari sulle fasce. In difesa, Alex Sandro riprende la propria posizione, così come Cuadrado e Mandžukić sugli esterni alti. Dani Alves e Benatia vedono le proprie prestazioni maiuscole contro il Milan ricompensate da una maglia da titolare in Champions e Marchisio rileva uno stanco Pjanić. Nuno Espírito Santo, invece, deve fare i conti con due tipi di problematiche: la prima è l’assenza di Telles, squalificato dopo il rosso rimediato tre settimane fa; la seconda, più pressante, è la necessità assoluta di ribaltare il risultato dell’andata. Per questo, il portoghese ha optato per una squadra non tanto spregiudicata nel modulo, quanto infarcita di elementi verticali e con spiccate vocazioni offensive. Così si spiegano le scelte del modulo d’ordinanza – il 4-1-3-2 – ma schierando Óliver Torres, André André e Brahimi tutti insieme dietro al duo André Silva e Tiquinho Soares. Se da un lato il Porto sa di non poter contendere il pallone alla Juventus, dall’altro deve massimizzare ogni palla conquistata senza rischiare di sciupare ripartenze.

Forte dello 0-2 ottenuto nella gara d’andata all’Estádio do Dragão, la Juventus non ha alcuna intenzione di forzare i ritmi di gioco. A dire il vero, questa è la partita perfetta in cui la squadra dovrebbe dimostrare maturità e consapevolezza con il pallone tra i piedi, innalzando il livello tecnico per tenere la sfera lontana dalla propria porta e dai piedi degli avversari. Semmai, colpire al termine di azioni manovrate cercando e ricercando – sino a trovarlo – il giocatore tra le linee e quindi l’accelerazione decisiva del ritmo di gioco per scalfire la difesa ospite.

Anche il Porto adotta una formazione sbilanciata (a sinistra), con Brahimi faro tecnico della manovra avanzata (il Porto ha attaccato al 47% a sinistra). L’algerino e Dani Alves hanno dato vita ad un duello a tutto campo su quella fascia. Qui sopra, evidenziato il 4-2-3-1 della Juve, seppur in realtà difensivamente sappiamo essere un 4-4-2.

I primi dieci minuti vedono fasi di posseso abbastanza corte, con continue perdite del pallone. Dopo di che, quasi per inerzia, la partita sceglie di accomodarsi verso la piega voluta da Allegri, così come un gatto sceglie la luce del sole per sdraiarsi. La Juventus riesce ripetutamente a consolidare il possesso palla, scegliendo un’accorta circolazione bassa per spingere il Porto a difendere posizionalmente. I Dragões difendono il possesso consolidato avversario con un 4-4-2 ordinato, dove Óliver Torres scivola all’indietro al fianco di Danilo per formare la linea. Il pressing invece è passivo, e portato orientando gli avanti sulle linee di passaggio piuttosto che sull’uomo. L’unica velleità di riconquista (o meglio, di fastidio) in zona palla è concessa al passaggio del centrale verso il terzino.

Tiquinho Soares galleggia tra i due mediani coprendo due uomini. Brahimi e André Silva prendono posizioni larghe lasciando alla Juventus la prima costruzione, ma scattano sul terzino alla ricezione dal centrale, come nella situazione qui sopra.

La Juve invece adotta la solita, paziente strategia. I frequenti passaggi in orizzontale rinforzano la propria struttura, limitando al contempo gli errori tecnici. Khedira si abbassa a favorire l’uscita pulita del pallone dalla difesa, e Dybala quella dal centrocampo. Per forza di cose, la Juventus attacca massicciamente sul lato destro. E non potrebbe essere altrimenti: con la qualità offerta da Dani Alves, Cuadrado e Dybala in fascia, la squadra ha trovato qualcosa in più di un lato forte. Il fraseggio stretto e veloce in porzioni di campo anche ampie ha messo in difficoltà Layún e André André, entrambi costretti al giallo già nel primo tempo. Contemporaneamente, ha impedito a Danilo di presidiare con successo la zona centrale, preda sistematica di Dybala e Higuaín, e Khedira quando sceglieva di salire (un po’ meno un timido Marchisio). La Juventus farà passare il 45% delle proprie azioni offensive a destra.

Un’altra arma, ormai quasi uno schema mandato a memoria, è come ripetiamo da tempo il lancio di Bonucci per Mario Mandžukić. Non è tanto il lancio per l’ariete croato in sé e per sé a far salire la squadra, quanto piuttosto la conquista sistematica della seconda palla, che per la precisione di consegna è quasi un passaggio. Che sia una spizzata per la corsa di Alex Sandro (o Asamoah) oppure un anticipo sul marcatore in favore di un inserimento centrale, non c’è terzino che sappia tenerne la debordante fisicità. La squadra se ne avvantaggia, perché la difesa avversaria prima accorcia in avanti per difendere il lancio, e poi è costretta a scappare all’indietro una volta accertata la situazione di palla scoperta.

Tipo qui, in anticipo su Maxi Pereira a servire Dybala

Il Porto ad ogni modo ha saputo ricompattare le linee anche in situazione passiva, che ha reso più praticabile la via di un possesso forte. Quella del possesso come mezzo di offesa (se non proprio come fine di gioco), è una situazione in cui un giocatore come Dani Alves sguazza felice: il merito dell’anarchia del brasiliano è quello di rendere caotica anche la difesa avversaria, annullando i riferimenti dei movimenti classici del terzino. Per questo non è stato inusuale vedere il triangolo tra lui, Cuadrado e Dybala, scomporsi e ricomporsi sull’out di destra. Ogni tanto ci si ritrovava con Cuadrado basso e Alves alto, con Alves al centro e Dybala a destra, un paio di volte addirittura con Cuadrado in posizione centrale. Il tutto, chiaramente, permette un upgrade diffuso alla manovra in termini di imprevedibilità.

Il rigore e la conseguente espulsione di Maxi Pereira hanno inevitabilmente condizionato la partita e gli atteggiamenti dei 21 in campo. Forte del vantaggio numerico e di risultato, i bianconeri hanno di fatto trasformato la ripresa in un esercizio di possesso palla. Un rondo a tutto campo in cui l’obiettivo principale era quello di tenere la palla lontana dalla propria porta, cosa che – al netto di un errore marchiano ma sfortunato di Benatia – è riuscita in pieno. Ancora una volta, non si è rinunciato a cercare il varco con fraseggio, e l’ingresso di Pjaca (inizialmente a destra) per un irruento Cuadrado ha accentuato questa dimensione caratteriale della squadra.

Fraseggio stretto, Alves protagonista

Il terzino brasiliano è risultato ancora una volta il più influente della squadra. È stato il giocatore a tentare (116) e completare (105) più passaggi in totale, ma anche nel  terzo di campo offensivo (29/33). Se l’occhio non l’avesse visto in campo, questi dati certificano ancora di più la centralità di Alves nel gioco. Per inciso, è stato anche il giocatore a recuperare più palloni, ben 11.

Già a metà della ripresa Allegri ha provato a equilibrare i flussi di gioco, spostando il talento di Pjaca nella casella precedentemente occupata dal suo connazionale. Il 4-2-3-1 è poi scomparso del tutto con l’uscita dal campo di Dybala per Rincón, ma l’attitudine della squadra è rimasta la stessa. Non c’è stata necessità (né evidentemente volontà) di forzare le giocate, in nome di una filosofia di gestione di partita e forze che tanto bene ha fatto sinora. La scelta di dosare le energie e il pallone, cioè rischiare zero addormentando i ritmi di gioco, è stata ancora una volta vincente. Missione compiuta.

Come si evince dal grafico in calce, la Juventus ha giocato più nel terzo finale avversario che non nel proprio (!)


Come abbiamo detto nell’articolo di presentazione degli ottavi di finale, non arrivare ai quarti sarebbe stato un fallimento, soprattutto in ragione del valore dell’avversario. Ora le cose si fanno interessanti e la Juventus potrà misurarsi con la dimensione sportiva che le compete (a meno di fortunatissime e certamente benvenute sorprese dall’urna, i.e. Leicester). Un passaggio del turno sicuramente agevolato dalla doppia superiorità numerica nei due incontri, ma che non deve in alcun modo minare le certezze che la squadra ha costruito sinora e concretizzato nei due match con i lusitani.

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