La corsa del calciatore

Quante volte sui social, sui giornali o durante una telecronaca abbiamo sentito dire di un calciatore con particolari doti atletiche che “Tizio corre come un quattrocentista ma con il pallone tra i piedi” oppure “Caio potrebbe benissimo correre i 100 metri piani se non avessero inventato il calcio”?

Ebbene, idealmente parlando potrebbe anche esserci un fondo di verità; ma se noi analizziamo uno sportivo professionista, fatto e finito dal punto di vista atletico, la realtà è ben più complicata rispetto a quella che ci viene indicata.

La corsa: nozioni di base

Esistono delle differenze peculiari tra la corsa d’atleta (per intenderci, quella del centometrista) e la corsa del calciatore, e queste sono dettate innanzitutto dalla natura della disciplina sportiva di riferimento. In atletica viene richiesto un gesto motorio di tipo ciclico, ossia che si ripete uguale durante tutta la prestazione, a differenza del calcio in cui questo non è possibile, trattandosi quest’ultimo di uno sport situazionale in cui l’episodio obbliga il calciatore a modificare la propria performance in relazione a ciò che succede intorno a lui. Pensiamo, ad esempio, alla quantità indefinita di cambi di direzione, balzi, accelerazioni e decelerazioni che un calciatore deve fronteggiare in partita; oppure, più banalmente, al tempo che questo passa correndo in conduzione del pallone. Per questo motivo, dunque, la corsa del calciatore è aciclica, ovvero non prevede una ripetizione costante dello stesso gesto.

Oltre a questa prima diversità è possibile identificare altre specifiche differenze sotto il profilo biomeccanico.

La corsa di un quattrocentista richiede delle accortezze che gli permettano di coprire la distanza nel minor tempo possibile e con un numero adeguato ma non eccessivo di appoggi, in modo da garantire un’economia di corsa efficiente e un dispendio energetico minore. Per adempiere a tutto questo, l’atleta in questione deve sfruttare una corsa caratterizzata da una falcata ampia e frequente, ottenuta sfruttando una spinta completa di tutto l’arto inferiore, a partire dall’estensione d’anca per mezzo del grande gluteo, proseguendo per quella del ginocchio attraverso il quadricipite, per giungere, infine, alla contrazione del polpaccio. A questo segue il cosiddetto “richiamo” dell’arto che esaurisce la fase di spinta, composto da una rapida flessione d’anca, di ginocchio e da una flessione dorsale di caviglia.

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In tale situazione il tronco è proiettato in avanti, in modo tale da poter offrire una posizione di leva migliore per l’arto inferiore, massimizzare la spinta propulsiva e favorire la ricaduta del piede a terra sulla zona dell’avampiede, in modo da sfruttare l’elevata reattività della muscolatura plantare.

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Questo tipo di corsa nella fase “lanciata” della gara per un’atleta corrisponde alla messa in atto della corsa ideale, con un centro di massa corporeo (CoM, Centre of Mass in inglese) “alto” che garantisca una ripetizione del gesto rapida, ampia, frequente e con un’espressione di forza quanto più possibile costante, per evitare che il CoM abbia un andamento sinusoidale e l’atleta “rimbalzi” sulla pista disperdendo inutilmente parte della propria energia cinetica.

La corsa nel calcio

La corsa del calciatore, invece, è stata definita come aciclica, quindi caratterizzata da frequenti cambi di passo, cambi di direzione, frenate e ripartenze improvvise. Per compiere tutto questo è inimmaginabile pensare di sfruttare le stesse caratteristiche della corsa d’atleta, specie con un pallone tra i piedi. La prima necessità del calciatore è quella di poter eseguire un gesto atletico e sportivo a seconda del contesto che si crea intorno a lui e più velocemente dell’avversario; per cui ha bisogno di trovarsi nelle condizioni ideali per fare ciò in qualsiasi momento della partita, sia in fase di possesso del pallone che di non possesso.  

Il calciatore, per gran parte della partita, corre a bassa e media intensità e intervalla a questi momenti delle fasi di sprint vero.

Nella fase di bassa e media intensità senza palla, la corsa del calciatore non prevede una fase di spinta esplosiva e vigorosa dal punto di vista energetico come è quella tipica dell’atleta sul “lanciato”; al contrario, sfrutta questo momento per recuperare energie o per transitare da una fase concitata della partita ad una meno intensa. Dal punto di vista biomeccanico, non ricercando un gesto massimale, non troviamo movimenti completi delle varie articolazioni che compongono l’arto inferiore. Per questa ragione non avremo una corsa caratterizzata da ampie falcate, bensì piuttosto ridotte, ma che si compone comunque di buone frequenze di passo.

Quando il calciatore è in fase di conduzione palla, invece, è richiesta una modifica ancor più radicale della corsa per garantire il controllo e la gestione della sfera. Il centro di massa deve necessariamente spostarsi verso il basso per aumentare la velocità e la qualità di gestione della palla a fronte delle decisioni che vengono prese dal giocatore. Le frequenze di passo e gli appoggi aumentano notevolmente mentre il peso del corpo non viene più equiripartito su entrambi gli arti, ma spostato maggiormente sulla gamba che non gestisce il pallone e a cui è affidato il compito di sostenere la struttura durante il compimento del gesto tecnico.

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Tutto ciò avviene sia nella fase di bassa e media intensità di gestione palla, sia durante una fase ad alta intensità in cui il calciatore è lanciato in campo aperto verso la porta avversaria, con la sola differenza che la conduzione palla in campo aperto e in velocità concede la possibilità di effettuare un minor numero di tocchi e permette, quindi, una spinta maggiore e un aumento dell’ampiezza della falcata.

Questo, però, non significa che non ci siano dei brevi momenti in cui al calciatore è richiesta una corsa più vicina possibile a quella ricreata su pista. Sono i casi in cui il giocatore, ad esempio, inizia un’accelerazione massimale con partenza da fermo, si lancia dietro la linea difensiva avversaria dettando il passaggio filtrante, rincorre un avversario contro il quale ha appena perso un duello di gioco oppure sprinta per avventarsi prima dell’avversario sul pallone lontano. In queste situazioni il calciatore deve mettere mano nel suo bagaglio motorio e ripescare tutti gli atteggiamenti tipici della corsa su pista e intrecciarli, in seguito, alle esigenze proprie del gioco del calcio.

Dopo aver sprintato per qualche decina di metri il giocatore, ad esempio, ha molto spesso la necessità di arrestare la propria corsa, dovendo, quindi, decelerare e conseguentemente diminuire l’ampiezza del passo e aumentare le frequenze, trasportando la proiezione del tronco da anteriore a posteriore e variando l’appoggio del piede (dall’avampiede in fase di spinta, all’appoggio calcagnale in fase di frenata).

Appare evidente, dunque, come non sia possibile per il calciatore raggiungere e mantenere una velocità massimale e una tecnica di corsa che sia paragonabile a quella di un centometrista, così come è ancora più chiaro come sia impossibile avere una gestione ottimale del pallone e adeguarsi ai vari episodi di gara sfruttando solamente i puri meccanismi di una corsa d’atleta.

Sport diversi richiedono atteggiamenti speciali e specifici ognuno per la propria categoria, ed è quindi richiesta una valutazione distinta anche nei casi in cui sono rintracciabili delle similitudini tra le parti e tutto sembra ricondurre, per semplicità, ad un comune denominatore.

Corsa e preparazione atletica

Ma cosa comportano sotto il profilo della programmazione ed organizzazione del lavoro atletico e preventivo tutte queste differenze?

Questi atteggiamenti dinamici nella corsa del calciatore concorrono a creare degli adattamenti posturali non indifferenti sulla struttura fisica del giocatore. Il calciatore tende a mantenere una posizione più “seduta” rispetto a quella dell’atleta, con una flessione d’anca, di ginocchio e di caviglia costante.

Questo, nel lungo periodo, contribuisce a produrre delle retrazioni muscolari in misura maggiore, alterando quelle che sono le qualità viscoelastiche del tessuto muscolare e, di conseguenza, la sua capacità di sopportazione del carico durante i cicli di contrazione-rilasciamento che avvengono nel corso della performance.

Risulta fondamentale, ai fini della prevenzione dagli infortuni, impostare un lavoro curato nel dettaglio e che sia basato specialmente sulla mobilità articolare e la flessibilità delle strutture che sono maggiormente sollecitate durante l’esecuzione del gesto sportivo in questione, cercando di riequilibrare gli accorciamenti che si producono e contribuendo a mantenere un’elasticità adeguata.

A questo va assolutamente aggiunta una calibrazione di tutto il lavoro svolto, sia sul campo a secco sia in palestra con l’eventuale utilizzo di pesi, in relazione alle caratteristiche del soggetto, tarando i carichi in modo progressivo per favorire gli adattamenti, la crescita e la resistenza muscolare e inserendo la seduta di allenamento all’interno di una programmazione predefinita, che tenga conto, in particolare, dei tempi di recupero da concedere ai giocatori. Va comunque sottolineato come ormai si tenda sempre più ad effettuare sedute di allenamento in campo che prevedano lavori con la palla, privilegiando dunque il lavoro neuromuscolare; il lavoro in palestra, soprattutto quello che sottende l’utilizzo di pesi, viene trattato sempre più frequentemente come un eventuale e mirato completamento.

Ogni seduta di allenamento, in misura più o meno ampia a seconda della sua natura, e ogni gesto motorio allenato, in questo caso si parla di corsa, hanno il fine di incrementare la performance, ma lasciano delle “tracce” sul corpo, le quali vanno individuate, in modo da considerarle per le programmazioni future, e ridotte quanto più possibile, per prevenire l’infortunio

Precedente Corsa calciatore vs corsa d’atleta (2015)

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