Non avremo mai un Nagelsmann italiano

È di qualche settimana fa la notizia dell’accordo raggiunto fra il Bayern Monaco e Julian Nagelsmann che renderà l’attuale tecnico dell’RB Lipsia il futuro allenatore dei bavaresi.

A destare scalpore da questa parte delle Alpi, al di là della cifra versata dal club di Monaco di Baviera (25 milioni di euro), è stato il fatto che Die Roten abbiano deciso di sostituire Flick con un allenatore di appena 33 anni: infatti, Nagelsmann è nato nel luglio 1987 e si troverà a dover allenare Neuer, di un anno più “anziano”.

In realtà, e nonostante la giovane età, Nagelsmann ha cominciato ad allenare in Bundesliga a soli 28 anni quando, nel febbraio 2016, l’Hoffenheim decise di promuoverlo dalla panchina della U19 su quella della prima squadra, al posto dell’olandese Huub Stevens, costretto a lasciare a causa di vicissitudini mediche.

Da lì in poi Nagelsmann ha iniziato un percorso formidabile che lo ha portato prima al Lipsia e poi, dal luglio prossimo, al Bayern. A favorirne l’ascesa non è stato solo il talento del nativo di Landsberg am Lech o una serie di circostanze favorevoli (come la fiducia in lui mostrata dal ds dell’Hoffenheim, Alexander Rosen o quella di Thomas Tuchel, che lo chiamò come osservatore delle squadre rivali quando l’attuale tecnico del Chelsea era allenatore della squadra riserve dell’Augsburg) ma anche la possibilità di poter frequentare in giovane età i corsi più importanti della DFB-TrainerAkademie (la scuola allenatori tedesca), che permettono di allenare le squadre professionistiche e che per le prime tre divisioni del calcio tedesco consentono di ottenere lo Uefa Pro (da noi in Italia necessario per serie A e B, mentre in C è “sufficiente” lo Uefa A).

Quest’ultimo (necessario in Germania per allenare in tutte e tre le divisioni principali) si ottiene passando per la Hennes-Weisweiler Akademie. Molti allenatori di scuola tedesca senza un passato da calciatore professionista hanno avuto questa possibilità: oltre a Nagelsmann si ricordino anche Domenico Tedesco, Edin Terzić e quel già citato Tuchel che, dopo aver eliminato il Real Madrid, ha portato una sua squadra alla finale di Champions League per il secondo anno consecutivo (il Chelsea dopo il Psg).

Qualche anno fa su Vice.com fu pubblicato un articolo in proposito. In esso si diceva, riguardo al corso Pro, che ogni anno 80 applicanti venivano sottoposti a tre giorni di test, dai quali esce la classe di 24 che parteciperà al corso. I test prevedono una prima parte orale ed una scritta, alla quale ne segue un’altra che prevede la risoluzione tattica di una situazione di gioco e, infine, una sessione di due ore durante la quale il candidato deve in pratica strutturare una seduta di allenamento.

La classe ideale che si va a comporre dopo questi test è formata da ex giocatori dilettanti o semi-pro, giovani allenatori delle academy che spesso hanno studiato all’università ed ex giocatori professionisti. Il principio che sembrerebbe sottostare a questa scelta appare quello di formare dei veri Fußball-Lehrer (insegnanti di calcio, che è poi il titolo effettivo che si ottiene uscendo dalla Hennes-Weisweiler Akademie), cioè allenatori in grado di insegnare ai propri giocatori e di guidare il gruppo con conoscenze a 360° valorizzando il passato ed il background di ogni singolo studente del corso, indipendentemente dal fatto di essere stato o meno un calciatore professionista.

Come si evince, si tratta di una scelta ben diversa da quanto accade in altri Paesi, dove il passato da professionista dei candidati viene ad assumere grande rilevanza al momento dell’accesso ai corsi più alti. L’Italia non fa eccezione.

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