Non è l’aver cambiato, ma come

Ogni volta che un progetto fallisce, scatta la caccia al colpevole. Il problema, di solito, è trovare quello giusto.

Ho letto tanti post a caldo e analisi che, a mio parere (e ve lo argomenterò come sempre), hanno preso palo: “colpa del belgiuochismo”. O, associato ad esso, “colpa di chi chiedeva il belgiuochismo”.

Parto dalla premessa che, al di là di quanto possa dire chi ama fare disinformazione (bloccateli, silenziateli: leggete e ascoltate usando la vostra testa e interagite direttamente con noi nelle chat), quel termine qui su AterAlbus è bandito da sempre, così come “l’adanismo” e tutto ciò che a queste due parolacce viene associato.

Ah, giusto perché c’è qualcuno che mi fa passare per “adanista” a giorni alterni. A me Adani non piace. Lo trovo spocchioso, caricaturalmente enfatico, ripetitivamente ampolloso e ridondante.

Questo l’ho twittato giusto 3 giorni fa.

Vado di citazioni perché è il modo più semplice e diretto per ricordare dei concetti già usati e ribaditi più volte. Ad esempio: facendo seguito a decine di podcast e articoli nei quali avevamo trattato l’argomento, il 27 novembre 2019, in piena epoca Sarri, scrivevo

Innanzitutto, non siamo mai stati belgiuochisti. A noi, dello “spettacolo” non ce n’è mai importato nulla, almeno nelle nostre analisi calcistiche.

Le nostre stelle polari sono sempre state altre.

Abbiamo scelto di basare le nostre analisi su due princìpi. Il primo è il principio dell’efficacia. Ogni allenatore allena come meglio ritene opportuno: Allegri ha i suoi princìpi ed il suo credo, Sarri il suo, Del Neri il suo e via dicendo. Il calcio espresso, per noi, non è interessante se valutato secondo i personali canoni di “bellezza” o secondo gusti estetici, ma tenendo conto dell’efficacia prodotta dal mix dei desiderata dell’allenatore, delle caratteristiche dei giocatori e della capacità della squadra di recepire le indicazioni tattiche.

Il secondo è il principio del risultatismo, da sempre un nostro faro nel mare dei giudizi. Come si fa a giudicare se un modo di giocare dell’allenatore e della squadra sia efficace o meno? Basandosi appunto sui risultati. Alla Juventus, tutto il lavoro settimanale e stagionale deve essere finalizzato alla vittoria dei trofei. È l’obiettivo societario ed è perciò su quello che andrebbe giudicato il lavoro dello staff tecnico e della dirigenza stessa.

Questo, e ve l’ho citato espressamente perché meglio non riusciamo a dirlo, è quello che scriviamo e pensiamo, quindi diffidate da chi o non lo capisce (anche se mi pare chiaro), o vuole semplicemente guadagnarsi i suoi 10 minuti di notorietà acchiappando qualche like.

Noi si valuta il calcio secondo questi parametri, carta canta. A volte ci prendiamo, a volte no, come tutti, ma del calcio “bello” non ce n’è mai importato nulla. Ci importa capire se un particolare tipo di calcio possa portare o meno a sfruttare al massimo il valore della rosa e portare ai risultati: ci importa giocare bene, non fare bel gioco. Con i limiti che riconosciamo e ci riconosciamo essendo dei “guardoni” che osservano le cose da fuori.

Cito ancora un mio articolo del 9 agosto scorso post esonero di Sarri.

alla fine sono emersi prepotenti tutti i limiti, che già conoscevamo, di una valutazione analitica del calcio. Si possono fare mille grafici, raccogliere mille dati, parlare di tattica e di movimenti in campo, di errori individuali, di meccanismi, di uscita dal pressing, di baricentro e cose simili. E ritengo ancora sia corretto analizzare il calcio così, non avendo altri elementi a disposizione.

Però poi, alla fine, trattandosi comunque della gestione non solo sportiva di un gruppo di lavoro, ma anche umana, ci sono una serie di situazioni e di rapporti che si vengono a creare che finiscono per rendere più o meno “vivibile” il clima nel “segreto” degli spogliatoi e del campo di allenamento.

Quelli non si possono analizzare dall’esterno.

Consapevoli di ciò, abbiamo continuato a raccontarvi la stagione con gli stessi strumenti e la stessa impostazione di sempre. Con coerenza. Dando la parola dal campo e argomentando quelle che sono solo opinioni e non verità. Vado anche qui di citazione, del 26 marzo scorso.

Tutti noi, quando vi proponiamo queste analisi attingendo da esperienze personali o studi specifici, lo facciamo consapevoli che l’analisi tattica, che rimane solo tattica, è la visione personale di un evento. E che, in quanto tale, si può essere d’accordo o meno. E ci sono analisi più convincenti e analisi meno convincenti. Non solo quindi non la si vuole e non la si può spiegare a Pirlo e al suo staff (come detto e lo ripeto, lo scopo “didattico” è quello di cercare di capire noi per primi in cosa dovrebbe migliorare la squadra che commentiamo per passione), ma non si vuole nemmeno spiegarla a voi.

Già, le analisi. Mentre in tanti ci scrivevate “perché continuate a fare analisi tattiche? E’ colpa di x, y, z…” (ogni volta una scusa diversa), noi evidenziavamo degli errori di lettura di Pirlo che prescindevano da infortuni o scuse varie. E li mettevamo nero su bianco, come nel mio articolo del 18 gennaio che faceva un sunto del 2020 (!) di Pirlo. Ora che la rosa è tutta a disposizione e si ha una settimana per preparare le partite, vi ritrovate negli errori che avevamo individuato? Vi ritrovate nelle analisi tattiche che hanno evidenziato durante l’anno SEMPRE GLI STESSI ERRORI? Ecco a cosa servivano ed ecco perché continuiamo ad avere questa impostazione. Su questo ci piacerebbe fosse giudicato il nostro progetto.

Ad ogni modo, chiarito questo, e scusatemi ma ogni tanto serve tornare su queste cose per non far passare concetti sbagliati e per smentire bugie che vengono dette e scritte (anche sul nostro conto), veniamo al punto.

Qualcuno, sbagliando, ha pensato che fossimo belgiuochisti (e abbiamo già visto che… palo, rimandiamo al mittente), ma – errore ancora più grave – ha pensato che ci andasse bene (e, per un misterioso parallelismo, andasse di conseguenza bene anche ad Andrea Agnelli), il primo “nerd” (termine che un po’ ha stancato, diciamolo) a caso, basta che studiasse l’AZ e Hiddink e leggesse libri di tattica.

Non è vero, ovviamente, nemmeno questo.

Così scriveva Andrea Lapegna lo scorso 10 agosto:

Per me Pirlo è un no, ma non si tratta di un giudizio sul Pirlo persona né tanto meno sul Pirlo allenatore (e chi lo conosce?). Pirlo non ha mai condotto un allenamento, non ha mai diretto una squadra, non si è mai seduto in panchina: diventa difficile esprimere un’opinione su di lui senza fatti a supporto, e già questo è un macigno enorme nel valutare la scelta. E anche se non vogliamo prendercela con l’assoluta mancanza di esperienza, per me Pirlo è un no soprattutto per la situazione in cui arriva: in una squadra che è un puzzle, in uno spogliatoio forse diviso, in una società senza idee, senza soldi per soddisfare le necessità di rosa, senza progetti tecnici, con magniloquenti obiettivi sportivi ma senza strumenti per conseguirli.

Così Massimo Maccarrone:

la Juve nel corso della stagione ha mostrato una scarsa attitudine a giocare un calcio di sistema, fatto di pressing e contropressing, è stato molto difficile fare il reset per Sarri, troppi giocatori abituati a un calcio diverso, di ritmo lento, stantio, il vero reset sarebbe possibile solo con un profondo rinnovamento della rosa, cosa che per la Juve oggi è molto difficile.

I dubbi sono ancora più forti se il calcio che vuole proporre è quello che dice vorrebbe fare, un calcio di posizione, con uscita dal basso elaborata e possesso finalizzato alla segnatura, a queste cose arrivi dopo anni e di tempo alla Juve, non ce n’è.

Insomma: un allenatore può allenare come meglio preferisce e secondo i propri gusti e le proprie convinzioni, ma – se decide di provare un calcio “difficile” (e Pirlo ha voluto fare un calcio dannatamente difficile) – a maggior ragione dovrebbe farlo dopo aver accumulato esperienza, dopo aver completato un percorso di crescita e maturazione professionale e poi, solo poi, eventualmente, misurandosi in un club come la Juventus. Perchè il calcio non è semplice e l’allenatore conta molto, secondo noi.

Finisco col chiarire anche l’ultimo equivoco, su Allegri. Anche questo è scritto. Ognuno di noi a suo tempo prese una posizione personale nei confronti della sua situazione (rinnovo o cambio?). Io, ad esempio, ho sempre sostenuto questo.

Allora, ribadendo l’idea espressa prima ovvero che del belgiuoco non ce ne sia mai importato nulla, è stato altro. Mi sono convinto, anche e soprattutto ascoltando Allegri nelle varie interviste, di come fosse arrivato al capolinea. È un fatto di sensazioni, ovviamente, non vivendo la Juve dall’interno e non avendo il punto di vista di Andrea Agnelli (…). Ho visto Allegri stressato, in difficoltà emotiva, che analizzava male le partite (magari trollava, ma insomma…). Ho percepito (di nuovo: sensazioni) come qualcosa si fosse probabilmente rotto nello spogliatoio e, in effetti, in un paio di dichiarazioni era proprio Allegri che era arrivato se vogliamo a “sfiduciare” questo gruppo dicendo che lo avrebbe cambiato per continuare a vincere, fosse rimasto. E alcuni giocatori, di ritorno, non sembravano (più) entusiasti di lui. Per me, semplicemente, cinque anni sono tanti. E Allegri, che era in scadenza, non andava solo confermato, ma rinnovato per almeno altri 2-3 anni. No, per me era un no.

Come vedete, nessun riferimento ad un “calcio europeo”, men che meno al belgiuoco. Non ve n’è traccia all’interno dei nostri spazi ufficiali targati AterAlbus (sito, podcast, chat): abbiamo sempre e solo parlato di efficacia del gioco e di come servisse trovare il modo migliore per contrastare quei club che, unendo intensità e qualità, stavano facendo emergere un modo di giocare che necessitava di risposte adeguate (guardate alla posizione in classifica dell’Atalanta).

La si può pensare diversamente? Certo, ovviamente sì. Così come la si può pensare diversamente da Allegri su alcuni concetti da lui espressi in varie interviste dal 2019 ad oggi. Sono opinioni, le nostre sempre eloquentemente motivate (poi si può essere d’accordo o meno).

Si può pensare che sia stato un errore aver cercato di intraprendere un percorso di cambiamento verso un modo di giocare diverso? No. Per me (opinione), no. Non necessariamente. Anzi, sarebbe un peccato farlo. Non è l’idea in generale di voler cambiare che è stata un errore. È il “come” lo si è fatto che è stato sbagliato. Noi, anche su questo, abbiamo più volte manifestato le nostre perplessità verso un progetto che pareva sbagliato proprio per le incoerenze e le scelte di programmazione e mercato non felici.

Insomma: non banalizziamo, ancora una volta, concetti complessi e dinamiche difficili con spot e slogan, o con una caccia alle streghe peraltro sbagliata. Sono stati commessi degli errori più volte esaminati, e – se proprio vogliamo trovare un colpevole o, meglio ancora, qualcosa su cui riflettere per ripartire, devono essere quegli errori. Questi.

Si poteva fare meglio. Si doveva fare meglio. Si può ancora rifare meglio, volendo. Non ci pregiudichiamo a priori l’opportunità di farlo pensando sia stato voler cambiare il problema.

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