Quanto accaduto a Greta Beccaglia porti a riflessioni, oltre che a condanne

Partirei prima dal reato. Si chiama “reato”, non “fatto increscioso”, “incidente”, “episodio incivile” o quant’altro. Se “molestia” o “violenza sessuale” lo stabilirà un giudice, per ora diamo per scontata la molestia. Ciò che è accaduto domenica sera alla giornalista Greta Beccaglia di Toscana TV non solo è da perseguire a norma di legge (e infatti c’è un’indagine in corso), ma è un esempio di scuola di come non si possa mai dire “è solo una pacca!”.

Greta ha indubbiamente un bel sedere, ma ciò non lo rende “pubblico”. Mai e in nessun caso un bel sedere (o un sedere in generale), in qualunque contesto e a prescindere da quanto sia coperto o messo in evidenza, è violabile. Mai e in nessun caso, persino a prescindere dal comportamento della “portatrice”, si può pensare di poterlo toccare. Non esistono giustificazioni e nemmeno attenuanti, nessuna. Non esiste un contesto o un luogo dove sia meno grave, né le emozioni, i sentimenti o i problemi del molestatore sono qualcosa che devono interessare chi viene molestata. Non esiste “mi sono fatto trascinare”, non esiste “era solo una pacca non una palpata” (ci mancherebbe pure!), non esiste quello che pare abbia detto per giustificarsi l’autore della molestia, ovvero «Avevamo perso e ho fatto quel gesto in un momento di stizza e per goliardia». Se uno è stizzito, beve una camomilla. Se vuole fare il goliardo, indossa una feluca e magari si iscrive ad un’università.

Ribadito questo, che dovrebbe essere l’ovvio, ma che ovvio non è visto i dati sulle molestie subite dalle donne ogni anno in Italia e visti i commenti letti sui social in reazione alla vicenda di Greta, vorrei condividere altre riflessioni con voi.

Per la prima, mi rifaccio ad un paio di tweet della bravissima Marta Cagnola, giornalista di Radio24.

Ovviamente, è una considerazione che prescinde dalla molestia subita da Greta e in alcun modo la giustifica. Vorrei non essere frainteso: è uno spunto che non riguarda Greta, la quale non è “colpevole” di nulla, men che meno di essere carina. Il problema, a volte, sono le redazioni e i criteri di selezione di alcune giornaliste, le quali possono anche essere brave, ma ti viene il sospetto che sarebbero senza lavoro se non fossero anche altro o non facessero altro.

Questo tweet del giornalista Giuseppe Pastore, che riprende proprio la considerazione della Cagnola, lo esplicita ancora meglio.

In nessun caso il vestirsi più figa o il mettersi i tacchi può essere una “colpa” tale da giustificare molestie. Ma è indubbio come il calcio abbia ormai stereotipato il ruolo dell’inviata, della presentatrice o dell’opinionista in studio come quello della ragazza giovane, bella, meglio se con l’account Instagram pieno di foto seducenti, da mandare “al fronte” o da esibire in studio seduta su sgabelli o poltrone.

Anche questa è, a suo modo, una strumentalizzazione del corpo femminile che lancia messaggi sbagliati, ovvero che per poter lavorare nell’ambito del giornalismo sportivo (o della TV in generale) serva avere un particolare standard di bellezza o che debba essere stuzzicata per forza l’eccitazione dello spettatore per tenere alta l’attenzione. La strumentalizzazione si trasforma infatti in qualcosa di ancora più scorretto quando appunto si “consiglia” alle colleghe di vestirsi in maniera più “attraente” perché l’occhio maschile vuole la sua parte. Cosa c’entra tutto questo col calcio e col giornalismo?

Torniamo a Greta: aveva tutto il diritto di essere lì, ha tutto il diritto di essere bella e non c’è come detto alcuna giustificazione per la molestia che ha subito. Però, ecco, sì, c’è anche questo tema legato al giornalismo sportivo e al ruolo della donna in quell’ambito lavorativo che bene ha sollevato una donna e giornalista come Marta Cagnola e che a mio avviso una riflessione la meriterebbe.

Il secondo tema, è quello della gogna mediatica subita dal presentatore, Giorgio Micheletti. In diretta, ha commentato con un “Non te la prendere” che ha (anche giustamente) indignato molti. Si tratta di un’espressione bruttissima da sentire, un pugno in un occhio perché pare giustificare il gesto, quando invece non esiste – come ribadito più volte – alcuna giustificazione. Però si può anche fare lo sforzo di andare oltre. Si potrebbe capire, ad esempio, che gestire certe situazioni in diretta è difficile. Io, che giornalista non sono e che lo faccio per puro divertimento, gestisco da qualche anno delle dirette streaming e vi assicuro che, da quel poco che ho di esperienza (devi provarci, devi viverla), posso dirvi che è molto difficile a volte essere lucidi e mi è capitato tante volte, risentendomi, di pensare “qui avrei potuto gestirla diversamente, avrei dovuto intervenire”.

Da casa, è tutto più facile. Mentre sei live, invece, è tutto tremendamente più difficile e ti può anche scappare una frase sbagliata. Che poi è una frase, perché nel resto del collegamento Micheletti condanna più volte l’accaduto arrivando addirittura a sostenere come qualche schiaffo servirebbe per educare gli autori di quel gesto. Così la Beccaglia: «Sui social ha girato soprattutto il video in cui lui mi dice di non prendermela, ma poi la trasmissione continua ed è lui il primo a condannare la molestia che ho subito».

Intervistato successivamente, il presentatore ha specificato come volesse proteggerla – questo nelle sue intenzioni alle quale è inutile fare un processo – ed evitare che magari potesse, agitandosi (non aveva esperienze di questo tipo e doveva gestire una diretta) o gridando, provocare una reazione ancora peggiore da parte dei tifosi che già erano agitati e arrabbiati per la sconfitta.

Aggiunge Micheletti: «Il nostro errore è stato prima di tutto organizzativo, non avremmo dovuto lasciare la nostra giornalista da sola in mezzo a una folla di esseri con un quoziente intellettivo sotto lo zero». Di questo si può fare tesoro. Visto che il contesto è pericoloso (non c’è altro termine) per una donna, proteggiamola meglio. Prima sicurezza e dignità, poi le views.

Le parole del conduttore hanno comunque generato la reazione di tanti colleghi che lo hanno condannato senza appello e in maniera anche “violenta” (parlo dei toni, ovviamente). Micheletti lavora in una tv locale, non è (più) famoso (era popolare negli anni ’90) e molti non ci avranno mai (più) a che fare, anche perché è ormai prossimo alla pensione. In questi casi a me viene spontaneo domandarmi se sarebbe successo lo stesso se fosse stato un giornalista famoso o un collega amico.

Resterò senza risposta, con la curiosità, ma anche con la convinzione che se da tutta questa vicenda a pagare sarà solo lui (è stato sospeso da Toscana TV in attesa di eventuali provvedimenti disciplinari) senza che si coglierà l’occasione per cercare di evitare che quanto accaduto risucceda e che la figura della donna venga strumentalizzata nelle redazioni giornalistiche (ODG: battete un colpo pure su questo?), ci troveremo dinanzi all’ennesima occasione persa per provare a cambiare in meglio le cose.

Un abbraccio virtuale a Greta.

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