Superlega sì o Superlega no?

Il nostro commento, a caldo ma motivato, su quanto sta filtrando in queste ore.


di Andrea Lapegna: no

La nuova Superlega europea incarna ed esaspera tutto quel che non mi piace del calcio e di come va il mondo. Il suprematismo del profitto, la commercializzazione dello spettacolo, lo svilimento dello sport in favore del guadagno; i maggiori perdenti sono il merito sportivo (peraltro già demolito negli ultimi 20 anni), la territorialità e i movimenti nazionali. Perché se è vero che il grande ‘morto’ è la Champions League, è difficile non immaginare uno svuotamento di significato nei campionati nazionali, dove le super squadre ucciderebbero la competizione forti delle entrate monstre del nuovo torneo: che speranze avrebbero un Napoli o una Roma contro corazzate dal fatturato triplo e in costante crescita? In che modo una saltuaria presenza in questa competizione potrebbe compensare lo strapotere delle altre? Non si tratta di semplice istinto di sopravvivenza delle big, non si tratta (solo) di colmare le perdite imputabili alla pandemia, si tratta di un vero e proprio club ristretto che segnerebbe la fine dell’aristocrazia e l’inizio dell’oligarchia calcistica. 

E si badi bene, l’avversione alla Superlega non deve essere interpretata come un placet all’attuale governance del calcio: la UEFA ha già contribuito a stritolare tutti quegli aspetti diversi dall’estrazione di profitto. D’altra parte, come è stato già abbondantemente detto, quella tra UEFA e Superlega non è una guerra di soldi vs principi morali, bensì una guerra tra soldi e soldi. Dove a schierarsi si è già perso. 


di Antonio Corsa: hell yeah!!

Ragazzi, ma di cosa stiamo parlando? Con la Champions League è già morta da tempo la meritocrazia. Che merito c’è a partecipare ad una Coppa originariamente riservata ai solo Campioni domestici, essendo arrivati quarti? Il Manchester City che l’anno scorso perde in Inghilterra e quest’anno si gioca la vittoria della Champions cos’è, se non un cortocircuito di chi invoca il merito? E l’Atalanta di turno che si qualifica se entra nelle prime 4 rispetto ai Campioni d’Olanda che devono fare il preliminare che merito avrebbero? E il ranking UEFA calcolato in base ai campionati, le cui squadre però partecipano alle Coppe avendo chi 3 slot, chi 4, chi 5, chi uno… e quindi in situazione di slealtà e vantaggio rispetto ad altri club per mere ragioni geografiche che ipocrisia è? E il Financial Fair Play che risparmia PSG e City? La Champions League non è nulla di quello che tanti stanno idealizzando: è business. 

Fatto male, però. Perchè la fetta più grossa della torta la mangia l’UEFA che non ha rischio d’impresa e pretende pure di dettare le regole ai danni dei club senza i quali il giocattolo non esisterebbe. Il modello americano, che molti fraintendono, non c’entra nulla con retrocessioni o promozioni, con meriti e demeriti: è quello in cui attorno ad un tavolo si siedono da una parte il Commissioner a rappresentare le squadre, e dall’altra i giocatori. Punto. E insieme decidono di che morte morire. Questa è la filosofia. Tutto il resto si aggiusterà col tempo. Nuove squadre dentro, meccanismi di entrata o uscita in base ai piazzamenti nei campionati, nuove regole… L’importante non è “cosa”, né “perché”. Non è nemmeno “quando”. L’importante è “chi”. Chi produce il 99% dei soldi e rischia, deve vedersi riconosciuti il 99% dei ricavi. Dopo di che viva le Cenerentole e le squadre simpatia. A patto che non diventino parassiti e non succhino il sangue di chi quei soldi li produce. Magari buttandoli fuori. Business.


di Jacopo Azzolini: no

Condivido il pensiero di Andrea, questa Superlega esprime praticamente tutto ciò che aborro nella mia idea di sport. Anziché riformare i campionati (e quest’anno ne stiamo vedendo di bellissimi) e il format della CL, si crea un oligopolio definitivo tra un manipolo di club e tutti gli altri, un piccolo gruppo di società che può fare tutto quello che vuole senza alcun controllo. Un mondo in cui si vive di rendite di posizione e non di meriti (basti vedere molte delle partecipanti attualmente fuori dalla zona CL o addirittura dall’EL) .Vorrebbe dire condannare all’oblio perenne piazze e squadre importanti, impedendo a queste di crescere (oltre che di sognare). Trovo ancora più squallido che l’avidità di queste proprietà si manifesti nei terribili anni della Pandemia, in cui interi movimenti e divisioni sono in ginocchio. Capisco che un tifoso della Juventus o dell’Inter possa essere attirato dalla possibilità di giocare partitoni ogni settimana (all’estero stanno invece protestando di più, basti vedere gli account Twitter dei club inglesi), ma è esattamente il tipo di prodotto che mi toglierebbe passione. 


di Davide Terruzzi:

Comprendo il punto di vista espresso da Andrea e Jacopo poco sopra, comprendo perfettamente chi parla di meritocrazia e posizioni da guadagnarsi sul campo, ma la mia idea è diversa.

Iniziamo con il domandarci sul perché si è arrivati a questo punto.

La Champions League è la principale manifestazione tra club organizzata dalla Uefa. Diversi tra questi club hanno anche recentemente fatto notare quanto poco sia valorizzata la competizione con un margine di guadagno inferiore rispetto a leghe di altri sport. Il calcio, che è evento mondiale, vale meno di NBA, NFL ecc. Perché?

Perché la Uefa è stata incapace di creare valore?

Perché i dodici club della Superlega sono riusciti a partire col botto?

La Champions, su pressione anche dei team, nel corso degli anni è stata via via sempre più modificata fino a togliere di fatto il merito sportivo come ha evidenziato sopra Antonio.

Juventus e con lei le altre 11 società – e le diverse che a oggi non ne fanno parte – sono aziende che hanno nella partita l’evento e che operano all’interno del settore dell’entertainment. Loro e i giocatori creano il valore. Non l’Uefa. Perché deve essere lei a guadagnarci?

Le minacce di esclusioni sono irrisorie. Ci escludono dalle competizioni continentali? E sticazzi. Escludono dai campionati? Guardiamo l’Italia: stagione 2006-2007 con la Juventus in B. Questo campionato fa il record positivo in tutto, la A quello negativo. Perché sono i club a creare valore, loro con i giocatori, loro con il seguito di tifosi.

Una Serie A in cui 3-4 team partecipano alla Superlega, altri 3-4 alla Champions andrebbe a creare società con fatturato maggiore rispetto a quello attuale. Atalanta, Lazio, Roma, Napoli, Fiorentina ecc guadagnerebbero soltanto dalla presenza di Juventus-Milan-Inter in Serie A. Si creerebbe un divario? Ragazzi, già esiste. E il Napoli che va vicino a vincere il campionato con Sarri contro una Juventus immensamente più ricca è la dimostrazione di quanto il merito si conquisti sul campo, sempre, perché poi le partite devi giocarle e vincerle.

Attendiamo ora di capire meglio il funzionamento della Superlega che rappresenta per me la naturale evoluzione delle competizioni calcistiche, così come nel basket europeo è nata da anni l’Eurolega. E, purtroppo per me, spesso non è l’Olimpia Milano, che partecipa all’Eurolega, a vincere il campionato.


di Massimo Maccarrone:

Non ne faccio una questione di meritocrazia, né di moralità, non è questo il momento per me di parlare di cosa sia lo sport e come andrebbe gestito. A mio avviso per rispondere alla domanda sulla Super League, bisogna porsene una a priori: cosa sono oggi le 12 fondatarie della Super League? Cosa fanno oggi di preciso, sport o business? La risposta è molto semplice: le squadre con più alto fatturato in europa fanno show business e un business non può essere a perdere ma deve mirare alla crescita costante del fatturato. Con lo sport c’entra qualcosa, probabilmente poco, ma non è questo il punto. La UEFA ha sin qui avuto una visione dispotica, sacrificando sull’altare della competizione, i ricavi. La Super League genererà ricavi molto più alti, perché alla sua base ha un’idea che la UEFA non potrà mai realizzare. Abbandonare la UEFA e la Champions League è la cosa più naturale che si possa fare, certo fanno impressione i tempi, ma in queste due stagioni i club più ricchi sfioreranno i 2 miliardi di perdite complessive a causa del COVID-19, oggi la UEFA non ha previsto un piano di intervento straordinario, anzi ha rivisto al ribasso i premi della CL. Trovo del tutto naturale il meccanismo di sopravvivenza innescato, anche perché la differenza tra quello che è oggi e quello che sarà, sembra abbastanza notevole.


di Claudio Pellecchia:

Il punto per me sta in quel che ha scritto Massimo. Cos’è oggi il calcio? È sport? È business? È sport e business contemporaneamente? E se sì dove finisce lo sport e dove comincia il business? Ciascuno di noi ha una sua visione della cosa, che inevitabilmente influenza il suo essere favorevole o contrario alla Superlega – posto che, comunque, abbiamo ancora troppi pochi dettagli per capire cosa realmente vogliano fare i 12 fondatori a livello di competizione vera e propria. Personalmente, pur condividendo le obiezioni comprensibili di Andrea, Jacopo e tutti quelli che parlano di meritocrazia applicata allo sport, credo che nel momento in cui abbiamo “accettato” che una squadra di calcio diventasse una S.p.A. abbiamo cominciato un ideale conto alla rovescia per quello che è stato ieri e sarà domani. Se le società sono diventate aziende – e lo sono diventate – non possiamo pensare che non obbediscano alle normali logiche di mercato e di investimento, con tutto il resto che passa in secondo piano: Antonio e Davide hanno già sottolineato come il calcio sia ormai un business in perdita e come la UEFA ci abbia messo tanto del suo, io mi limito a osservare che nessuno, in nessun settore, ha interesse a investire se non può ricavarne un profitto. Non è giusto, non è bello, è contrario a qualsiasi narrazione romantica del calcio che fu: è semplicemente la “desertica nuova realtà” con cui dobbiamo fare i conti e nella quale dobbiamo (sopra)vivere. Noi come tifosi/appassionati/addetti ai lavori – per chi avrà ancora voglia di seguire, sia chiaro – sia loro come rappresentanti e protagonisti principali di un prodotto che si è fatto sempre più difficile da vendere nei nuovi mercati di riferimento, e dal quale è più che legittimo vogliano guadagnare più di quanto facciano ora. Era solo questione di tempo e state certi che il calcio sarebbe morto lo stesso, forse solo più romanticamente.    

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