Juventus-Empoli, lavagnetta tattica

La Juventus vista con l’Empoli alla seconda di campionato è una squadra con molti problemi di campo, tecnici e mentali. In questo inizio di campionato Allegri non sembra ancora riuscito ad incidere in maniera coerente o positiva sui giocatori, e la squadra ha dato offerto una prestazione molto negativa contro una squadra sì organizzata, ma tecnicamente molto inferiore. 

Inizio e 4-3-1-2

Allegri ha cominciato l’incontro con lo stesso modulo dell’Empoli di Andreazzoli, un 4-3-1-2. L’idea era probabilmente sperimentare gli inserimenti di McKennie prima ancora che reagire allo schieramento avversario e schermare Ricci, il mediano avversario: l’interpretazione di questo modulo, specie nei tre davanti, è stata molto rigida senza palla (punte a 15 metri e McKennie lontano dal suo dirimpettaio), ma molto fluida in attacco. Allegri d’altra parte ci ha abituai ad un laissez faire molto liberale in fase offensiva. Nascono qui le poche iniziative collettive di valore nella partita dei bianconeri, in particolare creare i presupposti per delle transizioni corte. In particolare, Chiesa è riuscito ad impensierire Vicario un paio di volte con delle conclusioni liberati dal dialogo con i compagni, vicini. Nulla di trascendentale, ma comunque qualcosa di incoraggiante. 

La circolazione ha risentito però di un’occupazione degli spazi tutt’altro che ottimale. La trasmissione lenta, lentissima, ha portato i tre avanti ad ibridare ancor di più le loro posizioni: McKennie, pur di liberare tracce di passaggio ai compagni, è finito per gravitare molto più avanzato rispetto alle punte che, contemporaneamente, si sono disunite: Chiesa largo e Dybala basso.

Altri problemi si sono manifestati nella fase di non possesso. I compiti richiesti a Cuadrado col pallone tra i piedi – costruzione, trasmissione e rifinitura (e magari anche portare le brioche) – cozzavano però con la struttura della squadra. Con le mezzali altissime, il colombiano era costretto ad avanzare palla al piede per un corridoio lunghissimo, trovandosi così a coprire tanto, troppo, campo. A catena, questo portava degli scompensi sulla catena di destra, con l’Empoli che è stato bravissimo a sfruttare lo spazio dietro al colombiano per affondare con l’allargamento della mezz’ala Bandinelli. Nell’azione del gol, è bastato giocare a muro su Bajrami che Bandinelli è stato trovato alle spalle del colombiano. De Ligt si è trovato a difendere queste situazioni per tutto l’incontro, spendendo un capitale enorme di energie fisiche e mentali.

Oltretutto l’Empoli arriva a questa situazione da un possesso consolidato, a cui la Juve non ha opposto né pressione collettiva, né blocco basso.

4-4-1-1 e i nodi vengono al pettine

Questa dinamica, provata e riuscita più volte all’Empoli, ha convinto Allegri a passare ad un atteggiamento più prudente, spostando Chiesa a centrocampo in un 4-4-1-1 con il solo McKennie a supporto di Dybala. Questa configurazione però ha messo a nudo ancor di più i problemi in fase di possesso ed ha finito con l’essere una lettura irrimediabilmente sbagliata (tanto più che non vi si è posto rimedio con le sostituzioni).

In primis, ha allontanato le due fonti di gioco offensivo. Chiesa è stato istruito a tenere la posizione ed aiutare Cuadrado, cauterizzando dunque la manovra e gli scambi con Dybala. 

L’evidenza più grande è stata però l’incapacità di far progredire l’azione. Di fronte ad un blocco medio come quello di Andreazzoli, la Juventus non è riuscita a proporre nulla di significativo. La risalita della sfera era affidata alle iniziative di Cuadrado e di Dybala, a cui erano delegati compiti di costruzione, progressione e rifinitura: un po’ troppo per non far finire loro la partita con la lingua di fuori. 

In un moto di reminiscenza degli scompensi del 2018/2019, Allegri ha chiesto agli attaccanti di venire incontro e ai centrocampisti di attaccare l’area: una strategia non cattiva di per sé, ma pessima se attuata con un giro palla letargico. Oggi, e anzi da diversi anni a questa parte, non ci si può permettere di giocare a tre o più tocchi da dietro. Giocare a tre, quattro o cinque tocchi lascia infatti il tempo agli avversari per assorbire gli inserimenti e marcare la discesa degli attaccanti. L’unico risultato è stato quello di far correre i giocatori a vuoto. 

Così, la squadra ha finito per adagiarsi, per disperazione, su un crossing game abbastanza scontato. La Juventus ha completato 37 traversoni nel corso dei 90 minuti, di cui solo 6 finiti ad un compagno: una strategia con un impatto insufficiente ed un indice di efficienza del 16%.

Una strategia adottata senza convinzione, quanto piuttosto per mancanza di alternative: buttare la palla in mezzo è il modo più rapido per farla arriva in area, ma anche quello meno efficace – come tutte le palle contese d’altronde. E probabilmente è stata una strategia invisa allo stesso Allegri, che chiedeva pazienza nel giro palla, e palla in verticale appena possibile. Ma è stata proprio la lenta circolazione palla ad inibire i presupposti per andare in verticale: l’unico a riuscirci, parzialmente, è stato Locatelli quando è entrato – soprattutto per l’abilità a giocare a due tocchi anche da dietro. 

Certi meccanismi vanno allenati. Non si improvvisa un’uscita palla senza direttive, non si possono chiedere risultati (“palla in verticale”) senza dare ai giocatori i mezzi per conseguirli. Ci sarà bisogno di tanto lavoro per uscire da questa palude, ma soprattutto tanta umiltà per riconoscere i punti su cui lavorare. Da parte di tutti, nessuno escluso.

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