22a Serie A: Chievo-Juventus 0-2

di Andrea Lapegna


In una notte di fine gennaio, la Juventus si prende tre punti belli e pesanti su un campo brutto e pesante. Le follie del Chievo hanno reso meno evidenti i dubbi sulla forma fisica della Juventus post-sosta.


[mks_dropcap style=”square” bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]Q[/mks_dropcap]uesta potrebbe serenamente essere additata come un manifesto pubblicitario, al contrario, del calcio italiano. Un campaccio, una squadra arroccata in difesa, un’altra squadra qualitativamente superiore ma in un momento di forma “particolare”, nessuna sperimentazione. Nonostante la povertà tecnica e tattica in campo, proviamo comunque a lanciarci in qualche elucubrazione tattica, a braccio.

Il pano gara del Chievo

Per la ventiduesima giornata di Serie A, e prima della semifinale di Coppa italia, Allegri sceglie un po’ di turnover, mentre Maran, almeno nelle intenzioni iniziali, disegna la squadra con un 3-5-2. Probabilmente l’intenzione dei clivensi era una partita d’attesa, in cui negare alla Juventus sia l’ampiezza che la profondità, accettando dunque il contraltare di un baricentro basso.

La Juventus si ritrova così, nemmeno troppo inaspettatamente, a fare la partita, ma il 4-3-3 bianconero presenta delle criticità non indifferenti. In particolare, il centrocampo è apparso troppo povero tecnicamente, e la manovra – diretta sapientemente sulle fasce dal piano gara del Chievo – ha risentito della scarsa attitudine delle ali ad offrire sbocchi esterni. Mandžukić, che comunque non è e non sarà mai un’ala classica, assecondava fin troppo il suo istinto a cercare il centro dell’area quando la squadra era in possesso, dimenticando però forse di non poter contare sul dinamismo e sull’esuberanza atletica di Matuidi e Alex Sandro dietro di lui. Douglas Costa, impiegato a piede invertito a destra, non ha fisiologicamente potuto offrire alternative valide alla minaccia di un cross a rientrare con il mancino.

Gli accorgimenti della Juve

Così, con il passare dei minuti, si è manifestata la necessità di coprire meglio gli oltre 60 metri di ampiezza del terreno di gioco e Allegri ha progressivamente allargato Sturaro per accentrare Mandžukić accanto ad Higuaín. Una mossa che, arretrando un po’ il raggio d’azione di Costa e disegnando uno scolastico 4-4-2, ha saputo mettere la squadra in condizione di aggirare la difesa a 5 dei veronesi. In effetti, come si può aggirare un 3-5-2 molto coperto che riesce a negare agevolmente gioco sugli esterni e profondità allo stesso tempo? Lo si aggira, letteralmente, con i traversoni a tagliar fuori i centrali. Proprio in quest’ottica va visto il 4-4-2 e il contestuale accentramento di Mandžukić vicino ad Higuaín e nel cuore dell’area di rigore avversaria. Allo stesso tempo, Khedira ha finalmente normalizzato e arretrato il proprio raggio d’azione, agendo così da interno di centrocampo e non più da trequartista aggiunto: un accorgimento che ha permesso da un lato una circolazione palla più fluida col tedesco a supporto di Pjanić, e dall’altro ha regalato più spazio alle ali.

Questa strategia è stata perfezionata nella ripresa con l’ingresso di Bernardeschi, ma soprattutto con il conseguente spostamento di Costa a sinistra, dove ha saputo trovare il fondo (e il cross) con costanza, potendo appoggiarsi sul suo piede forte. Quando il Bayern di Guardiola soleva bombardare l’area avversaria di cross, il catalano schierava le sue ali sul piede forte perché – e cito – un cross ad uscire è più facile da spingere dentro per gli attaccanti, dato che venendo loro incontro si lascia imprimere più forza con uno sforzo minore. Il dribbling e il traversone del brasiliano sono stati così una costante ineluttabile del secondo tempo, tanto da sembrare quasi computerizzati. La velocità d’esecuzione lasciava ben pochi appigli a Cacciatori prima e a Depaoli poi, che sono così stati risucchiati nel vortice. In questo momento è lecito affermare che la Juventus giocasse con un 4-2-4: ed è un centrocampo assolutamente sostenibile, considerato lo zero alla casella “pericoli” creati dal Chievo. In effetti, i rispettivi baricentri sono indicativi delle intenzioni delle due squadre.

Così come lo sono anche le posizioni medie del secondo tempo. Nella prima immagine la Juventus in possesso di palla, nella seconda il Chievo con la palla tra i piedi dei giocatori ospiti. 

Varie ed eventuali

Buona parte del risultato va, ad onor del vero, imputato alle follie comportamentali del Chievo, di cui le due espulsioni sono solamente la punta dell’iceberg. Tutta la foga messa in campo sembrava appartenere più alla retorica da derby di Mihajlović, che non alle fini strategie di gara di Maran. Fatto sta che il Chievo si è trovato a difendere il pareggio prima con un 5-3-1 e poi con un improvvisatissimo 5-3-0. Manco a dirlo questo ha ridotto le velleità offensive a meri desideri portati via dal vento di Verona (o dal piede di Birsa), che mai avrebbero potuto mettere in apprensione la retroguardia bianconera.

Una cosa che va però rimproverata alla Juventus, a maggior ragione in considerazione della (doppia) superiorità numerica, è stata una circolazione del pallone troppo lenta. Anche Allegri non ha mancato di rimarcare questo concetto. A mio avviso, la povertà tecnica del centrocampo ha fossilizzato un fraseggio lento e scialbo, che per trovare accelerazioni doveva necessariamente passare dai piedi di Pjanić (e di Higuaín), oppure sfociare negli assoli di Douglas Costa. Molto probabilmente tutto questo è stato accentuato dai carichi di lavoro che lo staff tecnico ha imposto alla prima squadra nella settimana di sosta, ma la combinazione dei due fattori è stata micidiale. Insomma, pareva quasi che la Juventus si fosse seduta sui ritmi blandi che essa stessa aveva imposto alla gara; e che riponesse un’enorme fiducia nella self-fulfilling prophecy secondo cui, alla fine, queste partite le vinciamo sempre.

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