Allegri, la crociata, la critica, gli errori, il grazie e il futuro

No. Non parlerò di Adani e d’Allegri. Francamente lo trovo quasi un’arma di distrazione, un cazzeggio di fine campionato. Mi colpisce il fatto che il pensiero, anzi le convinzioni e i giudizi, di un opinionista televisivo vengano utilizzate da una parte della tifoseria bianconera presente sul web nella loro crociata anti-Allegri; un mio conoscente mi ha pure mandato un santino d’Adani via whatsapp, una sua foto con una dichiarazione presa dal diverbio di sabato sera e ho avuto l’impressione di trovarmi quasi di fronte a una campagna politica utilizzata dai partiti sui vari social.

Penso, sinceramente, che Allegri vada profondamente rispettato e meriti un grandissimo ringraziamento per quanto fatto in questi cinque anni. Una tifoseria che arriva a insultare uno dei protagonisti maggiori di questa epoca deve porsi grossi domande sulla propria condizione; ritengo siano davvero finiti i tempi in cui veniva propagandato il mito dei juventini come tifosi migliori rispetto gli altri: una boiata davvero bella e buona.

Allegri è stato perfino insultato dopo la sconfitta col Real a Cardiff. Per troppi, l’unico parametro di giudizio è diventata la Champions League, la vittoria della Champions League. È una malata ossessione che rappresenta un morbo per i tifosi juventini: non a caso la chiamiamo puttana e bastarda, quando è semplicemente un traguardo complicato e affascinante. Gli altri tifosi, che da anni possono godere solamente delle nostre sconfitte, ci sfottono giustamente per questa nostra malata ossessione. Non può però essere il parametro di giudizio: come ho avuto occasione di affermare in una conversazione su una delle nostre chat Telegram (se non lo avete ancora fatto, iscrivetevi), se dovessimo giudicare qualsiasi allenatore della storia juventina in base alle finali vinte arriveremmo al paradosso d’insultare uno dei più grandi, Marcello Lippi, perché ha perso tre volte pur allenando la squadra più forte.

La critica dell’operato d’Allegri si deve perciò basare sull’analisi obiettiva della realtà di campo, senza aver formato a priori un giudizio sulla base di convincimenti personali. Non esiste IL modo giusto per giocare a calcio; ci sono diverse proposte di gioco che se espresse nel migliore dei modi sanno e possono risultare vincenti. Il triennio terminato con la Finale di Cardiff rappresenta il periodo migliore di Allegri con la Juve: l’allenatore livornese, lo sappiamo, ama adattarsi sulle caratteristiche degli avversari, puntare sulla gestione e la capacità di cogliere i momenti, predilige la difesa posizionale. Nei primi tre anni, onestamente, si sono visti dei capolavori, partite giocate esaltando la proposta di gioco d’Allegri. Arrivati alla stagione 2016-2017 è necessario un inciso determinante: nel corso di quell’anno, dopo un mercato notevole da parte di Marotta, l’allenatore bianconero fu bravissimo nel cogliere le difficoltà tattiche e tecniche con un sistema di gioco e con uno stile non adatti alle caratteristiche dei propri giocatori. Vi ricordate la svolta di gennaio con la Lazio? Allegri, con coraggio e lucidità, virò improvvisamente verso un calcio tecnico, basato sul possesso, più offensivo e adatto per i vari Dani Alves, Alex Sandro, Pjanic, Cuadrado, Dybala. Funzionò, ci fu una lezione tra andata e ritorno al Barça, ma lentamente si tornò a una idea di calcio maggiormente conservativa, rappresentata dal ritorno alla BBC con Cuadrado usato come cambio.

Allegri, e questa è la sua principale responsabilità, non è stato in grado di trovare una quadra per la Juventus di questo ultimo biennio. Il mercato dell’estate 2017 ha rappresentato un alibi perfetto, perché ha consegnato una squadra indebolita e con rebus tecnici e tattici. Quello successivo, però, è stato uno dei migliori nella storia juventina e offre una delle rose più forti e complete in Europa. La colpa più grande d’Allegri è quella di aver forzato la squadra e i giocatori andando verso una direzione che non è quella che si sposa con le caratteristiche degli stessi. Questa Juventus avrebbe dovuto giocare come ha fatto in autunno, perché i calciatori a disposizione sono più adatti all’interno di un gioco tecnico, basato sul possesso e votato all’attacco. Allegri ha preferito ritornare indietro, seguendo le proprie idee, e il risultato è stato quello di una squadra che nel 2019 ha giocato male, non ha avuto un’organizzazione convincente con e senza palla e non ha saputo trovare una soluzione a difficoltà che in Europa si trovano spesso (pressing alto, ritmi elevati e proposta di gioco offensiva). Allegri non ha trovato la famosa quadra e non è stato in grado di far giocare bene la squadra. In più, la preparazione è stata sballata, e non è solamente una questione d’infortuni, con una squadra che sarebbe dovuta essere al massimo della forma in primavera, ma che in realtà si è trovata assai monocorde e monoritmo.

Per queste ragioni, penso che sia il momento di cambiare guida tecnica. Ha ragione il Prof Kantor quando sostiene che la Juventus non può permettersi esperimenti o salti nel buio. Trovo però che alcuni stiano sottostimando la forza e la qualità della rosa bianconera e altri (o gli stessi) sovrastimando le difficoltà del nostro campionato. La partita con l’Inter, giocata male dalla Juventus per un intero tempo e pure in ciabatte, è la dimostrazione più efficace del grandissimo iato esistente tra chi domina da 8 anni e chi tra vorrebbe inseguire. Il nostro campionato porta delle difficoltà, ma un allenatore competente con una rosa superiore e con una società come quella juventina alle spalle è destinato a vincere. Lo fa il Barcellona con Valverde, che non aveva neppure un passato da big, lo ha fatto con Luis Enrique che noi in Italia abbiamo perculato al grido di “tiki-taka lo vedo solo in tv”.

Chi al suo posto? Un allenatore in grado di proporre un calcio adatto alle caratteristiche dei giocatori e capace di reggere le pressioni. Perché essere alla Juventus implica questo: lottare per vincere, avere ogni giorno in mente l’obiettivo e sudare per la vittoria. Questo significa “vincere è l’unica cosa che conta”, non giocare un tipo di calcio specifico, ma avere quello spirito e quelle caratteristiche che ti fanno vincere. I nomi sono pochi a mio avviso e sono quelli di cui si parla (ne vedo personalmente quattro che mi piacerebbe vedere o rivedere: Guardiola, Klopp, Pochettino e Conte), ognuno dei quali coi rispettivi punti di forza e di debolezza. Chiaramente, il Pep sarebbe il nome maggiormente apprezzato anche per una ragione di brand: la Juventus sta cambiando immagine, ha il giocatore più mediatico e famoso al mondo, l’arrivo dell’allenatore con l’aurea del guru e di quello più bravo al mondo andrebbe in questa direzione e aiuterebbe.

E se dovesse restare Allegri? Al momento è questa la scelta più probabile, stando almeno alle dichiarazioni pubbliche. Non sarebbe chiaramente un dramma o un proclama di rinuncia alla vittoria in Champions (solo chi in questo momento è dentro una crociata ad personam lo può credere), ma penso sarebbe quantomeno necessario un chiarimento definitivo e una capacità d’Allegri di ammettere privatamente gli errori commessi, in questo momento mi riferisco anche alla preparazione atletica, andando a costruire una rosa con giocatori più adatti al suo calcio, oppure con una proposta di gioco, quella d’inizio stagione e dell’inverno-primavera 2017, dimostrando una capacità d’adattamento e cambiamento che va oltre le proprie convinzioni personali. Quale calcio d’Allegri? Quello dei primi anni. E quindi gente di gamba e qualità in mezzo al campo, giocatori bravi nei break, molto bravi nella difesa posizionale. Perché il calcio è semplice nel risultato, ma molto meno banale e ovvio di quanto viene fatto credere. L’organizzazione e la mano dell’allenatore si sentono e si vedono, specialmente nei momenti di difficoltà all’interno di una partita o di una stagione. È lì che le certezze ti aiutano, altrimenti rischi di schiantarti. Come fatto, non solo, con l’Ajax.

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