Critiche a Sarri, da uno che lo reputa bravo

Ho sentito l’intervista esclusiva a Sportitalia di ieri sera. Ci ho trovato alcuni spunti interessanti dei quali vorrei discutere, ma soprattutto vorrei cogliere l’opportunità di muovergli qualche critica approfittando delle sue prime dichiarazioni post-esonero. Vorrei farlo proprio perché, a differenza di altri, non lo odio, non lo ripudio, non lo schifo e anzi lo reputo un buon allenatore.

Partiamo dalla dichiarazione più forte rilasciata, quella della “scelta” fatta già ad ottobre. Cosa non mi ha convinto, col senno di poi, della versione ma soprattutto del suo comportamento? Il fatto che, contrariamente a quanto sostenuto, messo dinanzi al dover effettuare una scelta, in realtà non abbia davvero scelto. Mi spiego meglio. Se vedi che i tuoi metodi sono rigettati dal gruppo o dai leader del gruppo, se vedi che non sei accolto bene dalla squadra o che la squadra fa fatica a giocare come vuoi tu, o che rovini i rapporti con una persona in particolare e da quel momento ti diventa difficilissimo interfacciarti con mezzo spogliatoio, le scelte “vere” che hai a disposizione e che me lo avrebbero fatto apprezzare, proprio da suo estimatore, sarebbero state tre:

1) Cambi. Intendo cambi tu, non un modulo. Reagisci. Ti adatti. Adattarsi non vuol dire far fare cose alle quali tu per primo non credi, prendendo in giro te stesso, i tuoi tifosi e la squadra. Perché così non ti diverti (cit.) a fare il tuo lavoro, la vivi tu per primo come una sconfitta o un anno perso, alleni senza entusiasmo e senza fare davvero nulla per restare un ciclo intero. Poi è anche abbastanza normale i tifosi (che nel suo caso doveva conquistare) non si appassionino a te e la società decida di cambiarti. In altre parole, se davvero vuoi restare alla Juve, provi a starci giocandoti la partita con le regole della Juve. Se non le puoi cambiare, le fai tue. Provi ad un certo punto a dire alla squadra che hai capito chi hai davanti, hai capito che certe tue idee non stanno funzionando o non piacciono, che per questa rosa sia più facile fare un altro tipo di calcio visto che lo fa da anni, e cambi. Aggiungo: se c’è gente che nella Juve conta più di altri, ti appoggi a lui, non gli fai la guerra. Tanto la guerra la perdi, è assodato. Dimostri di essere un allenatore non integralista, ma anche aperto a cambiare, a plasmare il proprio lavoro a seconda dei contesti, non soltanto tattici. Provi, ma con lo spirito propositivo di chi è disposto a rimettersi in gioco e ad imparare qualcosa da chi ha vinto prima di te e ha idee e metodi diversi, a farli anche solo parzialmente tuoi. Non è quello che sognavi di fare? Sicuro. Ad oggi, infatti, la domanda delle domande resta “Ma che cavolo è passato per la testa a lui e alla società?”. Non è quello che ti avevano garantito? Può essere, ci credo. Ma, appunto, se vuoi dimostrare di poter allenare nonostante tutto la Juve, che tantissimi credevano tu non potessi allenare proprio per questi motivi, e non hai il supporto totale che serve per fare a modo tuo, questa è un’opzione percorribile. Per una volta, usi questa esperienza diversa da quella che speravi comunque per plasmare il tuo gioco e anche te stesso attorno alla Juve e ai metodi della Juve. Un compromesso? Certo, enorme, faticoso, che va contro a tutto quello in cui crede. Ma oh, se volevi una rivincita, passava anche da questo. E soprattutto, se poi un compromesso lo accetti, integrale o parziale che sia, poi basta chiacchiere. Quello è, lo difendi, ci credi, non lo rinfacci, non mostri insofferenza, non parli di “squadra inallenabile”, ti mostri entusiasta e non come un impiegato che pensa solo a fare il suo turno di lavoro e poi sticazzi del resto (“se vogliono questo, cazzofrega a me, questo faccio!”. Non un grande spot per il rinnovo).

2) Scelta opposta: ti dimetti. Ci hai provato, non ha funzionato, ne prendi atto, ma non ti “svendi” o non svendi le tue idee davanti a nulla. È un po’ l’opposto dello scenario 1, ma che gli vuoi dire a uno che si dimette perché non può fare quello che ama fare, a modo suo? Lo saluti, stretta di mano, è stato un errore reciproco, guardiamo avanti. Unico handicap: dovresti rinunciare a tanti soldi e non lo fa nessuno. Quindi è un’opzione che metto perché tecnicamente esiste, ma non è realistica e non mi sento di rinfacciargliela. Io non avrei rinunciato a tanti soldi. E nemmeno voi.

3) Continui con la tua idea di calcio. A costo di schierare i ragazzi della U23. Non va bene? Ti devono cacciare. Tu quello sei, lo sapevano. Ti devono licenziare loro. C’è qualcuno che rema contro o non ti dà il massimo in partita o in allenamento? Lo mandi in tribuna. Vai in conferenza e spieghi: “L’ho mandato in tribuna perché non mi sta dando quello che mi aspettavo da lui”. Però fai quello che ritieni giusto fare, non il compromesso che ti rende triste e al quale non credi nemmeno tu, e che non ti entusiasma e non ti fa trasmettere a tua volta entusiasmo (questa parola ritorna, non a caso). Ovviamente, come dice Sarri stesso nell’intervista, sarebbe durato 20 giorni. E pazienza. Ti cacciavano, ti pagavano (il che rende questa opzione meno irrealistica della precedente), ma tu restavi te stesso. Non adatto ad allenare la Juve? “Peggio per la Juve!”, potevi dire. Anche qui, che gli vuoi dire a uno che si comporta così? Lo sapevi, lo hai preso per fargli fare il suo gioco, se non riesce a farlo o qualcuno gli rema conto, tu società puoi scegliere se segare i ribelli, o segare l’allenatore. E scegli (di segare l’allenatore, ovviamente).

Sono tre scelte che avrei trovato incontestabili. La prima l’avrei trovata sorprendente e avrebbe fatto totalmente cambiare il mio giudizio su Sarri. La seconda come detto la scartiamo. La terza sarebbe stata quella che probabilmente mi sarei aspettato.

La sua, invece, è stata un ibrido. È stata un “compromesso”, ma più per portarla a termine e vincere un trofeo, eventualmente da esporre in salotto e usare a vita contro i suoi hater (juventini, quasi tutti), che un compromesso “per restare” davvero e completare il suo ciclo di lavoro. Probabilmente, non voleva restarci nemmeno lui, un altro anno. E questo mi porta a ritenerlo altrettanto responsabile del fallimento del rapporto tra lui e la Juventus.

Il compito che Paratici gli aveva affidato non era facile. Arriverei a dire che era chiamato a fare la storia. Della Juve, ovviamente. Vincere e giocare in un certo modo, stravolgendo totalmente quello che si era fatto per vincere fino a quel momento. Difesa da uomo a zona, baricentro da basso ad alto, difensori da stretti dentro l’area a metà campo con praterie alle spalle, gioco da attendista o di controllo per lunghi tratti della partita, a gioco sempre ad un tocco, intensità da controllata e a “scariche”, a costante e sempre elevata, Ronaldo chiamato a giocare centrale e vicino a Dybala… Era una rivoluzione copernicana, non un cambiamento. Il tutto, da realizzarsi vincendo ogni singolo trofeo, Supercoppa inclusa. Con un gruppo bocciato da Allegri, pieno di giocatori ben oltre il prime e, per quanto potessimo analizzare “sulla carta”, incompatibili con il suo calcio. E in tutto questo doveva ANCHE conquistare il cuore dei tifosi, che fino a un paio di anni prima lo insultavano e lo consideravano il nemico numero uno. Se non siamo vicini ai 4,8 punti di coefficiente di difficoltà di un quadruplo salto mortale e mezzo carpiato, poco ci manca.

Proprio per questo, il fatto che senza crederci, snaturandosi, soffrendo e rinfacciandolo abbia portato a casa “solo” uno Scudetto, pur concordando con lui che sia stato sottovalutato, non lo esime da critiche o responsabilità. Dico “solo” non in senso “quantitativo”, ma nel senso che a tutto il resto della sfida abbia deciso di rinunciare già da subito, portando a casa un buon tuffo ma con coefficiente dimezzato. Sempre buon tufffo resta. Ma non è “quel” tuffo.

E che non fosse “quel” tuffo glielo si legge proprio in faccia. Glielo si legge dal fatto che probabilmente non gli sia rimasto nulla di questa esperienza, che non salvi quasi nulla. Che pianga quando gli si nomina il Napoli e rimpianga genuinamente il Chelsea. Il primo che non è contento e che ha vissuto come una parentesi sbagliata l’esperienza juventina, è proprio lui. Lui che continua a sostenere che “giocare male” non serva a vincere e che “se ti diverti, fai divertire e vinci”. E che però ci viene a parlare di patteggiamenti per vincere. Ma come, Maurizio! Allora è vero!

Da te ci si aspettava, o quantomeno mi aspettavo, che riuscissi a dimostrare il contrario (ne resto convinto, tra parentesi). O che quantomeno ci provassi. Abbiam preso un rivoluzionario che doveva portarci verso una nuova era, e ci siam ritrovato uno che non solo non ha rivoluzionato niente, ma che va in corto circuito diviso tra il rinfacciare l’impossibilità di fare il suo calcio, e la necessità di accettare i compromessi, che ha sempre combattuto, per vincere. Senza entusiasmo e senza divertirsi.

Per passare per un martire, devi prima morire. Se ti nascondi o ti pari il culo, non ti giudico (a chi piace morire, o rimetterci soldi, o subire?), ma non ti rimpiango nemmeno. Rimpiango l’occasione persa, quella sì.

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