Juve-Milan: crisi psicologica?4 min di lettura

Le ragioni della sconfitta contro il Milan sono da ricercare in cause prevalentemente psicologiche. Succede, anche ad atleti d’élite, di perdere collettivamente il timone della partita e questo ci dice moltissimo su una delle componenti meno esplorate del calcio e dello sport: quella psicologica, sia individuale che di gruppo. 

La concentrazione, in generale e nello sport in particolare, può essere definita come la capacità di un atleta ad adempiere al proprio compito con efficacia e costanza nell’arco dell’intera prestazione. 

È stato chiaro a tutti che quei 5 minuti di follia contro il Milan non fossero una questione di piedi o di polmoni, quanto piuttosto di testa. È stato detto da molti che il rigore potrebbe aver causato la perdita di concentrazione e lasciato sprofondare la squadra nel black-out. C’è tuttavia, a mio avviso, un po’ di confusione circa cosa significhi concretamente questo. C’è stato un sortilegio collettivo che ha mandato alle ortiche le abilità di 11 giocatori di primissimo livello? Ci hanno rubato il talento come nel leggendario Space Jam?

Io partite del genere le ho giocate. E non sono belle, ma sono comunque grandissime esperienze formative. A febbraio, con la mia squadra semidilettantistica, giocammo una partita di campionato. All’intervallo eravamo 3-0 e tutti a darci pacche sulle spalle. Alla fine perdemmo 4-3. Inspiegabile, ma con le stesse dinamiche: errori individuali grossolani, arrabbiature reciproche, frustrazione manifesta, squadra senza verve. 

Nello sport è questione di fiducia e arrivano quei momenti in cui non sai bene cosa sta succedendo, ma percepisci la negatività. La senti nell’aria, allo stesso modo in cui i marinai percepiscono l’elettricità in mare prima della tempesta. E se tu la percepisci, dai modo al tuo compagno di squadra di percepire le stesse sensazioni, e via dicendo in una spirale verticale di inarrestabile autolesionismo. Senza neanche renderti conto di “quando” è successo, a un certo punto sembra che il campo sia in salita, che gli avversari siano diventati improvvisamente il Barcellona di Guardiola; la palla è pesantissima e – per quanto tu ti sforzi – non ne fai una giusta. In una frazione di secondo pensi mille volte al passaggio da fare, al gesto tecnico, e questo overthinking ti manda ancora di più fuori giri, creando le condizioni per errori ancora più marchiani. E tutta la squadra è in bambola. 

Ecco allora che Bonucci si dimentica come difendere in area, Ronaldo si incaponisce in azioni personali, Rugani dà il fianco sbagliato a Leão, Alex Sandro pensa che un passaggio in orizzontale all’avversario sia cosa buona. Sono stati loro i protagonisti sfortunati, ma sarebbe potuto essere chiunque altro. 

Ci sono tutta una serie di fattori che entrano in gioco e che contribuiscono alla disfatta: magari un’incomprensione con un compagno, la frustrazione di aver fatto un errore irrimediabile, e forse qualcuno si è effettivamente fatto girare i coglioni per un paio di fischi arbitrali. Ed ecco che un sassolino diventa una valanga.

Questa componente psicologica è molto importante nello sport, e immagino lo sia ancor di più nello sport d’élite. Purtroppo però non è conoscibile al grande pubblico e, al contrario di quanto avviene con gesti tecnici e indicazioni tattiche, qui possiamo solo fare speculazioni (come d’altra parte lo è anche questo articolo). 

La componente psicologica viene spesso “analizzata” in maniera approfondita (per quanto possibile) negli sport individuali, dove è forse ancor più preponderante. Non a caso, nel tennis si allenano tantissimo le situazioni di stress in cui la potenzialità della “sbroccata” è forte. Nel mio piccolo, posso portare l’esempio del beach volley a cui ho giocato (che non è uno sport individuale, ma ci si avvicina): se stai entrando in bambola, l’allenatore ti dirà di giocare colpi più semplici e di rallentare il ritmo. Anche nel calcio non è un caso se alcuni dei più grandi allenatori contemporanei abbiano la fama di saper gestire bene l’umore del gruppo (da Mourinho a Zidane, da Allegri a Klopp). Ci si può allenare – e lo si fa – a gestire situazioni di stress, ci si prepara ad affrontare qualsiasi genere di difficoltà in campo, ma sarà difficile eliminare la componente psicologica negativa dal terreno di gioco. Perché è una componente umana. 

Quindi sì, queste cose succedono e continueranno a succedere. A prescindere dal livello, da chi siederà in panchina, da chi scenderà in campo, e dal valore degli avversari. 

That’s football, baby, ed è bello così.