La Juventus di Pochettino

Sono passate più di tre settimane e tutto va bene (più o meno). Sono passate oltre tre settimane dall’addio ad Allegri e non solo la Juventus non ha un allenatore, ma stiamo tutti brancolando nel buio. Tra i nomi spendibili per la panchina della Juventus, è stato avanzato con piena cognizione di causa anche quello di Mauricio Pochettino, attuale tecnico del Tottenham. La candidatura dell’argentino – che porta nel cognome vistose origini italiane – è abbastanza credibile, se vogliamo dar peso alle parole di Paratici che aveva preannunciato quantomeno la fine di tutte le competizioni per finire di sfogliare la margherita e annunciare infine il nome tanto atteso. Il suo nome risulta ancora più spendibile se pensiamo che lo stesso ha fatto capire di essere disposto, dopo cinque stagioni alla guida degli Spurs, a lasciare Londra.

Pochettino è uno degli artefici maggiori, se non forse il più significativo, dell’incredibile scalata del Tottenham alla Premier League inglese. Senza poter contare su una base economica forte come le rivali, la compagine londinese ha approfittato del vuoto di potere lasciato dagli inquilini storici del campionato inglese (Manchester United e Arsenal su tutte) per imporsi come un fattore pesante negli equilibri della Premier. E se una buona dose di merito va alla società per la programmazione (leggasi stadio) e gli investimenti nell’academy, non si possono comunque sottacere i meriti del giovane allenatore.

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Il nero snellisce.

Gnoseologia

Ma alla fin fine, che allenatore è Pochettino? Se siamo ancora qui a porci questa domanda, non è perché non siamo stati sufficientemente esposti al suo Tottenham: la Premier è il campionato più seguito al mondo, e il buon Poch è reduce da una finale di Champions League. Piuttosto, se c’è ancora chi se lo chiede è perché Pochettino è un tecnico estremamente duttile e flessibile, anti-schematico e che si lascia guidare da principi adattabili a contesti diversi.

Occorre cominciare col dire che a dispetto delle apparenze Pochettino non ha mai nascosto le sue radici didattiche, che possiamo rintracciare senza difficoltà nell’insegnamento di Marcelo Bielsa. Figura controversa e al tempo stesso messianica del calcio argentino, Bielsa è purtroppo conosciuto ai più solamente per i comportamenti fuori dall’ordinario e se la narrazione in Italia si è soffermata su Bielsa per lo più come “un altro Zeman” è per la scarsa conoscenza del génio di Rosario. Sull’onda lunga del calcio aggressivo e diretto di Bielsa, Pochettino ha eletto la verticalità a propria stella polare: le sue squadre giocano tutte le fasi di gioco in un campo mediamente lungo, con una particolare attenziona alla rottura delle linee. Sebbene abbia ammorbidito, col passare del tempo, le marcature a uomo a tutto campo di Bielsa, queste rimangono tutt’ora molto evidenti specialmente nel passaggio – molto sfocato a dire il vero – tra la transizione negativa e la preparazione della difesa posizionale. Nell’andare a “riposare” dietro la palla, i suoi giocatori guardano ancora l’uomo, proprio perché la struttura posizionale rimane un riferimento secondario.

Chiaramente, il marchio di fabbrica di Pochettino è un pressing e contropressing da manuale. Fondendo abilmente orientamente sull’uomo e copertura delle linee di passaggio, il tecnico di Santa Fe ha aggiunto diversi livelli a quello continentale e non possiamo non annoverarlo tra i maggiori contributori di questo aspetto nel calcio odierno. L’organizzazione del recupero palla parte naturalmente dalla prima linea, ma contagia tutta la squadra: l’ultimo Tottenham, nelle giornate migliori, ha saputo coniugare uscite individuali con la tenuta della linea, in un mix molto complesso e altrettanto appagante. Certo, si tratta di una strategia dall’attuazione estremamente difficile e dunque rischiosa, ma in generale ha dato i suoi frutti se gli Spurs si sono imposti come una delle realtà più temibili in un campionato dalla competizione serratissima.

Per giunta, Pochettino non ha un modulo di riferimento. Negli anni inglesi ha cambiato molto e anche in maniera radicale, oscillando tra la difesa a 3 e la difesa a 4. È passato dal 3-4-2-1, al 4-3-3, fino al 3-2-4-1, flirtato con il 3-3-3-1 del maestro, fino a stabilizzarsi su un 4-2-3-1 asimmetrico quest’anno. Ci fosse un filo conduttore, in effetti, sarebbe l’utilizzo spasmodico dell’unica punta (uno dei temi più cari a Bielsa, peraltro): la ragione è probabilmente da ritrovarsi in un’ampia occupazione della profondità in campo, senza il rischio di appiattirsi con due uomini avanzati sulla stessa linea orizzontale – ricordiamo l’ultimo 3-5-2 di Allegri?

Quest’anno però ha saputo fare un ulteriore salto di qualità, ovvero ha applicato questa stessa duttilità all’interno della stessa gara. Non è stato raro vederlo disimpegnarsi con più moduli e approcci diversissimi negli stessi 90 minuti, a seconda delle esigenze. Una capacità di lettura della gara particolarmente cara alla Juventus degli ultimi anni. Inoltre, il Tottenham è stato in grado di accettare fasi prolungate di difesa posizionale senza accennare scompensi strutturali (invece presenti nelle ultime annate). Un’evoluzione non da poco, per uno nominalmente refrattario a baricentri bassi, e che magari potrebbe affinarsi e rivelarsi fruttuosa in una campionato come la Serie A, che continua a fare la propria fortuna sulle due sole fasi di posizione.

Campo

Pochettino si presenterebbe quindi alla Juventus come uno degli allenatori più moderni in circolazione, in grado di spingere e far proprio uno degli strumenti più redditizi al momento, nonché il meno esplorato per distacco in Serie A: il pressing. Ora, la Juventus non attua un pressing organizzato dai primi mesi del 2017 (ad essere buoni). Non solo: la squadra di Allegri ha sempre fatto delle linee strette, corte e compatte una delle proprie armi migliori. Come lo accoglierebbe una rosa abituata a principi apparentemente opposti?

In realtà uno dei motivi per cui l’ultimo anno di Allegri non ha funzionato è stata proprio per la tanto sbandierata incapacità del tecnico di leggere le qualità della rosa. A ben vedere, in effetti, molti giocatori della Juventus sono abituati (o quanto meno proni) a difendere in avanti. A cominciare dal reparto difensivo, con Cancelo bravissimo ad accorciare e le uscite/coperture reciproche di Chiellini e Bonucci. Alex Sandro faticherebbe un po’ a ritrovare fiducia nelle uscite, e probabilmente anche Rugani avrebbe non poche difficoltà ad affrontare il proprio mostro personale (le marcature a uomo), ma sarebbe comunque a proprio agio nelle uscite.

Chiosa portiere: se Pochettino ha insegnato a Lloris a giocare con i piedi dentro la propria area piccola per attirare la pressione avversaria, non ho molti dubbi sul fatto che possa farlo anche Szczęsny. Effettivamente la Juventus ritroverebbe (dopo Conte) un tecnico che tende trappole all’avversario con insistenza e scientificità, adescandolo verso la propria area, allungandone e i reparti, e infilando i propri giocatori tra di essi.

Nel sistema di uscite e coperture, il centrocampo bianconero avrebbe tutto il potenziale per far bene, a patto di fidarsi della linea difensiva e di accettare una difesa in avanti sistematica. In un ipotetico 4-2-3-1, Pjanić sarebbe liberato dal dover costantemente guardare lo spazio e potrebbe concentrarsi sul migliorare l’occupazione delle linee di passaggio (un accorgimento in cui è già migliorato molto grazie ad Allegri). Can e Bentancur, due che fanno della caccia al pallone la propria arma migliore, sarebbero valorizzati oltre ogni lecita aspettativa. Persino Matuidi, in un centrocampo a tre, sarebbe apprezzabile e potrebbe far fruttare al meglio i suoi eccezionali mezzi atletici; Ramsey, invece, è (molto banalmente) buono per tutte le stagioni.

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Uomini dietro le linee come se piovesse. Fonte: l’Ultimo Uomo

Parentesi. Difendere alti ed aggressivi non è una cosa che si improvvisa, ed è anzi una delle cose più difficili da insegnare perché va contro l’istinto di conservazione del giocatore: “subisco l’attacco; scappo all’indietro”. A mio avviso ci sarebbe dunque bisogno di un periodo di adattamento, e con avversari agguerriti alle spalle questo potrebbe pesare sulla gestione dello spogliatoio. Insomma, una situazione promettente che però non nasconde qualche trappola.

Invece, la dinamicità della manovra offensiva di Pochettino avrebbe forse difficoltà ad amalgamarsi con il reparto avanzato della Juventus. Abituato a giocare molto sui corridoi intermedi, le ali della Juventus che possono svolgere questo compito non sono tante, e forse solo Bernardeschi sembra veramente adatto al suo gioco, fatto di strappi, spazi, atleticità e intuizioni. Costa dovrebbe reinventarsi giocatore in traccia centrale, Dybala soffrirebbe il dinamismo e le conduzioni ad alta velocità che giocoforza gli verrebbero richieste. Chi si troverebbe certamente a proprio agio sarebbe Cristiano, encomiabile in qualsiasi contesto (e anzi specialmente con la squadra lunga) quando si tratta di fornire appoggi in profondità. Servirebbe forse un ritocco dal mercato. Un risvolto positivo sarebbe però senz’altro un ritrovato gioco tra le linee, che troppo spesso era venuto a mancare negli ultimi anni.

Scegliere Pochettino

Insomma, Pochettino offre dei pro e dei contro ben definiti. Quello di cui la Juventus non dovrebbe aver paura se dovesse scegliere l’argentino, sarebbe un buffer time, un periodo di adattamento che consentirebbe al tecnico di prendere le misure della Serie A, e alla rosa di rispondere alle sue richieste. D’altra parte, la filosofia bielsista che ancora alberga nel Poch non è un esercizio semplice, specialmente per una squadra abituata a principi opposti. Tuttavia, la caratura mondiale di Pochettino non deve essere messa in discussione: un tecnico che si è imposto nel campionato più difficile del mondo (proporzionalmente con i mezzi economici dell’Atalanta) e che è arrivato a giocarsi il trofeo più importante con pieno merito non può non essere considerato un investimento sicuro.

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