Milik vs Marchisio: 4 mesi vs 6 mesi di recupero

di Enrico Raffaele Ferrari


Il Napoli proverà a recuperare Milik prima di quanto fatto dalla Juventus con Marchisio. Follia, azzardo o rischio calcolato?


[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]I[/mks_dropcap]in risposta a tanti utenti ma soprattutto all’amico Triglione, cui dovevo una risposta.

Le tecniche chirurgiche per la ricostruzione del legamento crociato anteriore (LCA) del ginocchio sono notevolmente migliorate negli ultimi anni e ormai l’intervento di ricostruzione ha percentuali di riuscita altissime.

Fino a qualche anno fa la ricostruzione avveniva unicamente prelevando le fibre ligamentose dal tendide rotuleo del ginocchio interessato, ma nel tempo si sono cercate alternative a causa di gravi problemi post operatori a carico del tendine rotuleo stesso e della cartilagine femoro-rotulea; problemi tanto più frequenti tanto più aggressivo e precoce fosse il protocollo riabilitativo.

Oggi esiste una validissima alternativa al prelievo da tendine rotuleo, considerata la migliore tecnica per gli sportivi agonisti, ed è quella di prelevare le fibre ligamentose sia dal semitendinoso (figura 1) che dal gracile (figura 2) perché si è visto che questi ultimi sono molto più simili organicamente al legamento crociato anteriore e questo favorisce la naturale ripresa biomeccanica del ginocchio.


In questo caso, però, la fase riabilitativa è molto delicata e richiede attenzioni particolari perché si sono registrati episodi di algodistrofia acuta nelle mobilizzazioni precoci.

Il primo grande problema dopo la ricostruzione è la perdita di tono e forza muscolare del quadricipite femorale e nello specifico del vasto mediale obliquo (figura 3); questi sono i muscoli che fanno da struttura portante all’articolazione del ginocchio e se non giustamente stimolati in fase riabilitativa fanno intervenire in compensazione altri muscoli (vasto laterale, figura 4) che solo apparentemente danno stabilità all’articolazione.


Il secondo problema è il ritardo della maturazione del collagene, ossia della sostanza che consente al neo legamento di tornare ad essere elastico e stabile.

Per affrontare al meglio questi due problemi si sono sviluppate tecniche riabilitative su cui la bibliografia è vastissima ed è bene precisare che per una persona comune, quindi non atleta agonista, i tempi per un pieno recupero sono stimati intorno ai 9-12 mesi.

Per gli sportivi agonisti e in particolar modo per i calciatori ci sono due correnti di pensiero come per altro da noi già scritto nell’occasione dell’articolo sul recupero di Marchisio.

La prima corrente è quella che prevede un recupero in circa 6 mesi e l’altra che prevede il recupero in circa 4-5 mesi.

Ci tengo a precisare che in letteratura è possibile ritrovare molti protocolli riabilitativi, e quindi non esiste un unanime consenso in merito al protocollo ottimale da utilizzare.

Inoltre, i due studi appartengono entrambi a protocolli riabilitativi innovativi ed accelerati dove si conviene che la mobilizzazione precoce ha ridotto l’insorgenza di complicanze di varia natura.

I sostenitori dei 4 mesi danno molta più importanza al recupero meccanico in quanto sostengono che una assenza di carico di lavoro è ugualmente dannosa ad un eccessivo carico perché il legamento si adatta al diminuito carico riducendo gradatamente la produzione di collagene, mentre un carico più aggressivo aumenta lo spessore e la resistenza organica del legamento.

I sostenitori dei 6 mesi obiettano che il collagene ha tempi di maturazione indipendenti dalla stimolazione dei meccanismi articolari e che la sua maturazione fino ai 6 mesi non è completa e per questo motivo danno più importanza alla componente neuromotoria della riabilitazione: quindi riflessi, coordinazione e ripresa del completo controllo dell’arto secondo lo schema motorio di base (la natura deve fare il suo corso). Riassumendo, meglio i 6 mesi, perché anche se il recupero funzionale può essere anticipato, il legamento è solo apparentemente stabile quindi a rischio recidive di vario tipo.


Esiste uno studio fatto dall’equipe del Prof. Mariani primario presso la clinica Villa Stuart a Roma (clinica ufficiale UEFA) che “sponsorizza” attraverso un magazine – e non una rivista scientifica – il pieno recupero all’attività agonistica in circa 4 mesi dopo la rottura del LCA. Tuttavia questo studio, che per sua stessa ammissione è (credo) oggettivamente molto poco attendibile, cita dati che a leggerli sconsiglierebbero il più grande degli ottimisti a provare un recupero in 4 mesi: solo 3 giocatori su 479 in Serie A hanno recuperato prima dei 202 giorni (che sono la media per il ritorno all’allenamento) e 238 sono i giorni medi per il ritorno ad una gara ufficiale; inoltre, per loro stessa ammissione, nel 50% dei casi ci sono stati problemi da sovraccarico funzionale ai danni dell’articolazione. Non è il massimo, no?

Ma soprattutto, lo studio conclude con queste 2 considerazioni:

1-    Questo studio ha diverse limitazioni. In primo luogo, le serie sono composte da una coorte di calciatori, che sono stati sottoposti all’intervento chirurgico presso un unico istituto e sono stati operati dal medesimo chirurgo, mentre la riabilitazione, sebbene basata su un protocollo uniforme, è stata portata a termine presso sedi differenti. Dopo il primo mese, l’atleta è stato trattato dal fisioterapista del proprio team, ma i dati sui differenti protocolli di allenamento sono stati persi. In secondo luogo, i dati sono stati acquisiti retrospettivamente, grazie a un questionario e l’accuratezza delle risposte non è stata accertata. Infine, non abbiamo dati sugli altri 50% dei calciatori, che per ragioni diverse, non hanno risposto al questionario.

 2-    Ulteriori studi prospettici sono necessari per definire meglio la riabilitazione aggressiva, al fine del più veloce e più sicuro ritorno all’attività agonistica negli atleti professionisti.

Queste considerazioni mi fanno pensare che questo studio sia solo uno spot, poiché la conclusione logica è che ogni caso sia unico e vada trattato in modo soggettivo, perché oltre un certo limite non si possa ancora andare e perché 6 mesi sono il giusto tempo (ad oggi) per personalizzare al meglio il protocollo riabilitativo. Il protocollo dei 4 mesi qualche buon risultato lo ha ottenuto ma i punti interrogativi sono ancora troppi per un riscontro medico scientifico definitivo e non sperimentale come sembra essere attualmente.

Voi rischiereste?

Beh, io no.

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