Perché, per il calcio italiano, è importante che Pirlo abbia successo?

Perché il calcio italiano ha bisogno di un’identità. E il calcio di Pirlo è basato sulle idee di Maurizio Viscidi, che è già riuscito a gettare le basi per la rinascita delle nazionali a Coverciano.


Nel suo recente articolo sui princìpi di gioco federali importati alla Juventus da Pirlo e Gagliardi, Davide Terruzzi ha illustrato alcuni dei presupposti che hanno fatto da humus per la ri-nascita del calcio Azzurro.

Dopo svariati anni in cui in Italia sembrava essersi persa la strada, infatti, mister Maurizio Viscidi ha preso in mano le redini delle Nazionali giovanili e creato una, potremmo definirla, rivoluzione culturale che ha finito con l’investire anche la nazionale maggiore, la quale proprio nell’applicare i principi di Viscidi sotto la guida di Mancini ha ripreso a marciare e proporre prestazioni convincenti.

Ateralbus, lo dice il sottotitolo del sito stesso (about Juventus), è chiaramente una realtà fortemente improntata su quanto accade sulla sponda Bianconera di Torino. Ma siccome Juve e calcio italiano sono inevitabilmente ed indissolubilmente legate, permettetemi di prendere spunto su quanto scritto da Davide per allargare un po’ il discorso.

Perché, per il calcio italiano, è importante che il calcio di Andrea Pirlo abbia successo?

Proprio perché è fondato sugli stessi concetti di gioco su cui si basa quello delle nostre Nazionali.

Mi spiego meglio.

Uno dei problemi del nostro calcio è, a mio avviso, l’assenza di una vera e propria “scuola calcistica”. Certo, abbiamo migliaia di società più o meno grandi dislocate lungo tutto lo Stivale, ma non esiste o non si percepisce in maniera chiara una vera e propria “scuola”, ovvero un insieme di principi che, pur con qualche libertà di interpretazione, tengano assieme il lavoro che viene svolto alla Juventus come al Monopoli, al Cjarlins Muzane come alla Varesina, in FIGC come in una società di puro settore giovanile.

Non esiste insomma una “identità” che leghi il movimento nazionale nel suo insieme (che non significa giocare in fotocopia, del resto nella stessa Spagna, tanto per fare un esempio, abbiamo visto il Barcellona di Guardiola, l’Atletico di Simeone ed il Getafe di Bordalas).

Questo discorso è sicuramente complesso e meriterebbe un articolo a parte, una analisi dell’andamento delle cose, i perché ed i per come in Italia siamo tutti battitori liberi e non esiste una sorta di “programmazione” che coinvolga tutti, come se fossimo all’interno di quello in cui poi ci troviamo: un’unica realtà nazionale, una sorta di grande famiglia (in cui, come in tutte le famiglie, ci possono anche essere dissapori tra chi ne fa parte).

La Federazione propone il proprio modello di gioco e, ovviamente, cerca di influenzare una implementazione omogenea dello stesso andando a formare gli allenatori di ogni categoria sulla base di questi princìpi.

Questo però non basta, perché poi ogni allenatore ha – giustamente – le proprie idee di gioco, ma soprattutto deve fare i conti con la realtà in cui opera, con i dirigenti e le proprietà con cui si interfaccia e con gli obiettivi che gli vengono posti.

Il risultato, in un certo senso un po’ paradossale, è così che ci troviamo con un movimento federale molto sviluppato e moderno, direi contemporaneo a quanto avviene nei principali paesi d’Europa, ma con un sistema Paese che non sembra in grado di seguire e supportare quanto viene irradiato dal Settore Tecnico della FIGC.

Questo problema credo sia in primis culturale, più che tecnico, ed affonda le proprie radici nel fatto che in Italia da ormai troppo tempo i settori giovanili sono spesso visti come un peso, un fardello cui si rinuncerebbe volentieri, più che come una risorsa o tanto meno come la pietra angolare della propria azione di proprietari e dirigenti di un club.

Ci sono due grossi limiti culturali – lo ripeto – che stanno frenando la nostra rinascita, che inevitabilmente non può avvenire solo attraverso il lavoro che si fa in Federazione:

  1. da una parte quanto detto sopra, con l’inevitabile risultato che se non investi e non punti risorse, energie ed idee su un settore giovanile difficilmente ne trarrai qualcosa di buono in termine di sviluppo dei calciatori;
  2. dall’altra il fatto che il risultatismo estremo che spesso vive nei settori giovanili porta i dirigenti che operano negli stessi a costruire degli “instant team” più che delle squadre che puntino sulla futuribilità e le possibilità di crescita dei ragazzi, magari immaturi per l’immediato ma appunto con delle carte da spendere sul lungo periodo.

Chiaramente, intendiamoci, il fatto che Pirlo e Gagliardi possano riuscire ad importare efficacemente i princìpi di gioco federali, interpretandoli a piacere, non potrà cambiare questi due aspetti.

Però è anche vero che il calcio, come qualsiasi altra cosa, si muove per “mode”, e che mettere al centro del villaggio, facendoli appunto diventare di moda, i princìpi che Viscidi ha propugnato e sta sviluppando in Federazione e che il duo Pirlo-Gagliardi sta cercando di attualizzare in salsa Bianconera potrebbe davvero essere una buona novella per tutto il calcio italiano perché potrebbe aiutare a costruire una “scuola italiana”, con caratteristiche definite, che permei il Paese.

Insomma, Andrea Pirlo – lavorando nel solco tracciato dal maestro Viscidi – potrebbe così diventare un riferimento per il nostro movimento nazionale un po’ sulla scorta di quanto fatto da Guardiola in Spagna.

Perché come riportato nel pezzo di Davide, uno dei grandi fondamenti dei princìpi di Viscidi, che a me personalmente sta a cuore da anni, è quello relativo alla costruzione di calciatori cognitivi. Ragazzi cioè che non imparino a memoria uno spartito da ripetere senza soluzione di continuità una volta scesi in campo, ma che apprendano gli strumenti stessi per creare da sé le proprie sinfonie.

E allora, perché il calcio di Pirlo – ma vale lo stesso discorso anche per quello propugnato da Mancini in Nazionale maggiore e dai tecnici delle Nazionali giovanili, con alterne “fortune” – è bene che abbia successo?

Perché in un paese che ha tantissima fame di calcio ma scarsissima cultura calcistica far imporre, anche attraverso l’ottenimento di risultati, una certa dottrina può essere un’importante chiave di volta per continuare a percorrere quella via di ri-nascita che, come detto, a livello federale è stata imboccata da un po’.

Io che ho avuto la fortuna di conoscere, e che per passione e cultura personale cerco di seguire per quanto possibile, luminari come Viscidi, posso assicurare che si tratta di un uomo di una intelligenza vivacissima, iper-competente, un mister e direttore con una fame infinita di sapere e di migliorare le proprie conoscenze, una grandissima risorsa per tutto il calcio italiano.

Maurizio Viscidi non si è svegliato un giorno di qualche anno fa ed ha tirato fuori dal cilindro una serie di princìpi di calcio sconclusionati provando a dar loro una forma accettabile, facendo del “marketing tattico”.

Maurizio Viscidi è un uomo che già nell’ormai ben lontano 1997 salì alla ribalta delle attenzioni del Settore Tecnico federale classificandosi primo al corso per allenatori UEFA PRO, con una tesi – che vi consiglio – sui movimenti d’attacco del 4-3-3 (guarda caso il modulo-base che utilizza oggi la Nazionale maggiore…!) catalizzando su di sé grandi attenzioni del mondo calcistico e guadagnando la nomea di “predestinato”.

Purtroppo la competenza calcistica non è l’unica dote che serve per imporsi ad alto livello nel lavoro di allenatore di una prima squadra, ma fortunatamente il calcio italiano è riuscito a “recuperarlo” ed a non dilapidare un così grande patrimonio calcistico.

I princìpi di gioco che Viscidi propone oggi in FIGC, e che Pirlo con l’aiuto di Gagliardi (che proprio in Federazione ha lavorato per circa un decennio) sta importando a Torino, sono il frutto di una sua continua ricerca.

Nella tesi scritta 24 anni fa si possono infatti rintracciare i fondamenti di quelle che sono le idee, nutrite ed approfondite nel corso del tempo, che oggi potrebbero dare vita ad un nuovo, vero, Rinascimento del calcio italiano.

Ecco perché oggi Mancini e Pirlo sono due degli uomini più importanti per il futuro del nostro pallone: perché sta a loro portare in alto queste idee e far sì che il Paese ne resti stregato, si adegui e le segua.

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