25a Serie A: Torino-Juventus 0-1

di Andrea Lapegna


Rimaneggiata al massimo, prima e durante la gara, la Juventus ha ragione di un Torino povero di idee grazie al talento dei singoli


[mks_dropcap style=”square” size=”52″ bg_color=”#F2F2F2″ txt_color=”#000000″]L[/mks_dropcap]a retorica de “il derby non è mai una partita normale” vive un nuovo capitolo alla venticinquesima giornata di campionato. La Juve si tuffa nella stracittadina con la necessità di smaltire le scorie mentali della rimonta subita in casa contro il Tottenham, ma anche con il bisogno di far sentire il fiato sul collo alla capolista Napoli. Il Torino invece, forte delle sicurezze acquisite dopo il cambio di allenatore, rispetta la tradizione che vuole il derby maggiormente sentito al di qua del Po. Mazzarri, peraltro, si presenta al derby con un ruolino di marcia perfetto in casa: 3 vittorie su 3 partite, 8 gol segnati e nessuno subito.

Con il ritorno di Coppa alle porte, Allegri misura con il contagocce il turnover (anche in considerazione degli infortuni). Così, in campo vanno: Szczęsny; De Sciglio, Rugani, Chiellini, Asamoah; Khedira, Pjanic, Sturaro; Douglas Costa, Higuain, Alex Sandro. La novità più importante è certamente l’avanzamento di Alex Sandro sulla linea degli attaccanti, complice l’attacco influenzale che ha colpito Mandžukić. A Sturaro il compito di non far rimpiangere Matuidi (in gruppo da lunedì). Anche Mazzarri devia dal percorso volto a far assimilare ai suoi giocatori quei principi di gioco che ne hanno definito nel tempo l’identità tattica. L’allenatore toscano manda in campo un 4-3-3 che si declina così: Sirigu; De Silvestri, Nkoulou, Burdisso, Molinaro; Rincón, Baselli, Obi; Ansaldi, Iago, Belotti.

Il piano gara della Juventus prevede l’attacco della circolazione bassa del Torino, ma a folate. Gli avversari hanno manifestato incertezze croniche nel far uscite palloni puliti dalla difesa e sebbene Mazzarri abbia aggiustato i problemi strutturali, la resistenza al pressing avversario rimane una criticità. A dire il vero, il pressing della Juventus si declina più con Khedira e Sturaro (specialmente dopo l’ingresso di Bernardeschi) che non con il tridente. Le due mezzali giocano in porzioni di campo talmente avanzate da essere loro a portare pressione sull’impostazione avversaria. In fase di possesso è l’interpretazione atipica di Alex Sandro a dettare gli sbocchi della manovra, e spesso anche i tempi: il brasiliano stringe molto la sua posizione di partenza, quasi fosse attratto magneticamente verso il centro del campo. È Asamoah allora, generosissimo nelle sortite offensive, ad aprire il campo da quel lato. D’altra parte l’asimmetria regna padrona nello schieramento di Allegri, e da quel lato passerà il 38% delle azioni offensive della Juve.

Due situazioni di pressing della Juve. Nella prima, la pressione e l’eventuale recupero palla sono affidati alle mezzali, prima ancora che agli attaccanti. Bernardeschi è chiamato in causa solo con il pallone al terzino (come poi accadrà in questa azione), mentre Sandro entra dentro il campo.

In quest’altra diapositiva Khedira e Sturaro sono profondissimi, con quest’ultimo che ha seguito il pallone sin da Sirigu e il tedesco che lo copre a destra. Bernardeschi è molto basso, fuori dall’inquadratura, con lo scopo di  farsi trovare pronto ed ostruire la risalita del campo tra mite le catene laterali.

Mazzarri ha scelto il 4-3-3 per mantenere la squadra compatta attorno al centrocampo della Juventus: in fase di non possesso, infatti, Ansaldi scende accanto ad Obi e la squadra si assesta su un più prudente 4-4-2. Le linee sono molto strette, e la squadra è attenta in campo, negando così il fraseggio alle catene laterali: il Torino avrà lungo tutta la partita una larghezza media di soli 27.56 metri, un dato molto basso. Questa formazione è stata preferita al tradizionale 3-5-2 probabilmente per rimanere corti e compatti senza rinunciare alla parità numerica a centrocampo. In fase di non possesso infatti, le consegne di Mazzarri sono semplici. La squadra stronge verso il centro del campo, e l’unica deroga ad una altrimenti difesa posizionale statica con orientamento sull’avversario è la marcatura di Baselli, a uomo pura, su Pjanić. Oltre, come spesso visto in altre squadre, al pressing sulle situazioni non dinamiche, ovvero le rimesse dal fondo e le rimesse laterali basse.

Allegri, dal canto suo, chiede che  il palleggio della difesa sia teso a liberare le mezzali per la ricezione avanzata e quindi l’appoggio ad Higuaín. Questo piano se ne va allegramente alle ortiche con l’infortunio del numero 9 bianconero, che va ad aggiungersi a Mandžukić, Matuidi e Cuadrado in fila all’infermeria. Senza rischiare (per adesso) Dybala, arruolato più per dargli minuti che non come vera e propria arma, Allegri manda in campo Bernardeschi (neanche lui al meglio) e sposta Douglas Costa in punta – come confermano le posizioni medie. Il brasiliano non è un falso nueve come lo abbiamo apprezzato nel Messi versione 2008/2009, e per quanto sia abile a venire incontro alla palla non ha la difesa della sfera spalle alla porta tra le sue caratteristiche migliori. Allora, gli scarichi alle mezzali devono essere elaborati velocemente per lanciare Sandro e Bernardeschi in profondità, ma il giochino non riesce spesso. A causa della densità del doppio esterno granata, e anche della maggiore aggressività della squadra di casa questa opzione non sarà praticamente mai percorsa. È una partita tesa e contratta, in cui nessuna delle due squadre riesce ad imporre il proprio contesto: la Juve per una scarsa gestione dei movimenti del centrocampo (nonché per il fisiologico riassetto dopo il cambio di centravanti) e il Toro a causa di povertà ideologica nella metà campo avversaria.

Infatti, Mazzarri ha sì impostato una partita reattiva – con piena legittimità e financo cognizione di causa – ma la squadra non ha gestito le ripartenze come l’allenatore si sarebbe atteso, soprattutto nel primo tempo, quando cioè la Juventus ne aveva concesse. Un’insolita superficialità da parte di Iago Falque si è andata ad aggiungere all’arcinota imprecisione tecnica di Belotti. Considerando che erano i due deputati a condurre i contropiedi granata, non una bella notizia per il Torino. A maggior ragione se pensiamo che la Juve, specialmente nella prima metà della gara, di potenziali ripartenze ne ha concesse, complice un assetto a centrocampo poco armonioso.

In un derby il cui cronometro è spinto dall’inerzia, il gol non poteva che arrivare da giocate dei singoli. Per fortuna, è la Juve ad avere la scuderia migliore in questo senso. Pessima la scalata delle marcature in centro area del Torino; molto utile invece da parte nostra avere entrambe le mezzali in area. 

Una cosa che è mancata ai campioni d’Italia, specialmente nella prima frazione di gioco, è stata una circolazione palla efficace. Le posizioni avanzate di Khedira e Sturaro hanno rappresentato un deterrente in questo senso: da un lato privano la manovra di sbocchi naturali per il palleggio, e dall’altro portano Pjanić e Chiellini a forzare la giocata verticale. Non è un caso che Allegri abbia chiesto a più riprese una circolazione più prolungata e più pulita per stanare i granata dalle loro posizioni, ed è questa stessa circolazione che ha ridato geometrie e spazialità alla struttura posizionale della Juventus, in particolar modo sul finire della prima frazione. In questo sia la staticità di Khedira, sia l’incapacità di Sturaro a trovare la posizione hanno giocato un ruolo importante, in negativo.

Pjanic sta per entrare in possesso della sfera, ma le mezzali gli scappano via. Sturaro parte in moto perpetuo verso la metà campo avversaria e si autoesclude dalla manovra, Khedira è addirittura fuori inquadratura (!). Costa si abbassa, ma è seguito dal diretto marcatore, e Sandro deve venire dentro al campo nella posizione di mezzala. La scelta, conservativa, sarà per Chiellini (fuori inquadratura in basso a destra). 

Con una manovra asfittica sul groppone, nella ripresa Mazzarri inserisce Niang e passa al 4-2-3-1. In questo modulo è Iago Falque a pressare Pjanić, ma lo spagnolo gli lascerà diverse ricezioni fronte alla porta. In compenso, l’atletismo del francese arricchisce di soluzioni offensive il mazzo di carte del Toro. I granata sono forse più offensivi, ma a parte le iniziative individuali non sono soluzioni adeguate poiché manca un contesto tattico in cui sfruttarle.

Sull’altra panchina Allegri individua nel cambio di passo la necessità più stringente, per evitare che la partita sia lasciata agli episodi e mettersi al riparo da eventuali contingenze. Dybala prende il posto di Douglas Costa per prendersi il centro dell’attacco, e approfittare del maggiore squilibrio che il nuovo modulo ha portato in dote al Torino. L’argentino gioca da 9, e riesce a far spendere meglio l’associatività di Bernardeschi: nei 28 minuti in cui è stato in campo ha preso 3 falli a ridosso dell’area avversaria e tirato 3 volte verso Sirigu (una sola conclusione ha raggiunto il portiere azzurro), segno tangibile della centralità di Dybala nella manovra e nell’economia della squadra. Segnali positivi, soprattutto per la “voglia” con cui è entrato in campo.

Negli ultimi minuti la Juve lascia scemare la partita difendendosi con il possesso. Dybala diminuisce progressivamente il numero dei giri in fase di non possesso, mentre sia Sandro che Bernardeschi abbassano la loro posizione. La Juve adesso tiene le fasce con un 4-5-1 neanche troppo velato, mette la museruola ad un già docile Toro e congela la partita con grande forza mentale, senza concedere l’ombra di un’occasione ai cugini.

In conclusione, mi accodo alla narrativa da derby secondo cui notoriamente la classifica non conta ed è una partita particolare. Ma la scia del match porta in dote qualche preoccupazione, principalmente legate alle condizioni di Bernardeschi e di Higuaín. E se gli infortuni traumatici sfuggono al nostro controllo, ha destato qualche perplessità il vuoto a centrocampo. Sicuramente le posizioni altissima di Khedira e Sturaro sono state un’indicazione precisa di Allegri, ma ha provocato la litania ormai familiare che lascia Pjanić desolatamente solo a difendere le transizioni negative. I loro movimenti, tutt’altro che diatonici con lo spartito suonato dalla squadra, hanno penalizzato la fluidità e la resa corale, tanto che il modo preferito dalla squadra per risalire il campo è stato il lancio lungo (o le sgroppate di Chiellini palla al piede). Non solo, ma nel primo tempo il vuoto ha chiamato lo stesso Chiellini a salire accanto al bosniaco in impostazione, e sebbene le sue doti di lettura – con e senza palla – non siano in discussione, il pisano non è un regista e non può permettersi a sua volta di lasciare Rugani sistematicamente in uno vs uno. Se non altro questo ha permesso a Rugani di smentire le malelingue su di lui, con un’ottima prestazione. In modo opposto, è stato rinfrancante vedere la squadra limare gli estremismi e compattarsi con spaziature migliori sul finire del primo tempo, come richiesto dall’allenatore a gara in corso.

Le note positive su cui costruire le prossime partite vengono invece da Alex Sandro, MotM per distacco e gargantuesco in qualsiasi zona del campo; finalmente “leader”, ha coniugato il solito atletismo con un impeccabile decision-making come non gli capitava da tempo. Sugli scudi è stato anche Bernardeschi, che sta viaggiando a medie stratosferiche in termini di incidenza (un gol o assist ogni 75 minuti circa). La difesa tutta, a cominciare da Rugani, si è mostrata attenta e concentrata, concedendo nulla al Torino e alternando controllo dello spazio a marcature preventive come nella miglior tradizione allegriana. Si tratta di una vittoria indiscutibilmente importante, in un turno che era più difficile per la Juve che per il Napoli, ed Allegri si leccherà le ferite col sorriso della vittoria, ma deve ancora trovare l’assetto definitivo e soprattutto imparare sopperire con continuità e in modo sostenibile all’assenza di Matuidi.

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