Sul concetto di verticalità

Allegri chiede spesso ai suoi giocatori di andare in verticale appena possibile. Ma cosa vuol dire? Questo articolo vuole sfatare alcuni malintesi sul concetto di verticalità applicata al calcio.


Da quando è tornato alla Juventus, Massimiliano Allegri si è spesso prodigato in richieste nette alla squadra. Oltre ad alcuni cliché del tecnico livornese, come la calma e la gestione dei momenti della gara, queste includono anche una spiccata volontà di “andare in verticale il prima possibile”. Questa frase ha provocato le più disparate reazioni da parte della tifoseria, dal liberatorio “finalmente una squadra che vuole attaccare la porta”; “basta con questo tiki taka (sic)”; “visto, Allegri è un allenatore offensivo (sic)”; fino al sempreverde “palla lunga e pedalare!”. 

Per quanto le reazioni di pancia facciano più che legittimamente parte del tifo, forse è il caso di metter un po’ d’ordine sul concetto stesso di verticalità e su cosa significhi che un giocatore deve andare in verticale il prima possibile. Per aggiungere un po’ di piccante a questo articolo, utilizzerò solo giocate di Locatelli, visto che è ormai diventato mister verticalità in bianconero. 

Verticalità

Treccani definisce così il sostantivo ‘verticalità’.

verticalità s. f. [der. di verticale]. – Direzione, posizione, sviluppo in senso verticale

Se prendiamo il campo di calcio e lo ruotiamo di 90° rispetto alle immagini cui siamo abituati (cioè mettendoci dalla prospettiva di un portiere e non da quella della panchina), la dimensione di verticalità ci conduce inevitabilmente in una direzione: verso la porta avversaria. 

File:Football field.svg - Wikimedia Commons

Se segnare è l’obiettivo delle due compagini che si scontrano, una certa tensione verticale è inevitabilmente presente in qualsiasi squadra di calcio. Senza voler entrare nella mitologia legata alla porta come vita e al gol come fecondazione (trattato benissimo, benché in antitesi, da Jonathan Wilson nel suo The Outsider: A History of the Goalkeeper), possiamo dire che nessuna squadra rinuncerebbe mai alla possibilità di segnare: nessuna squadra può dunque fare a meno di muovere il pallone in verticale. 

Questa è una considerazione importante, utile soprattutto quando contraponiamo – non senza qualche approssimazione – squadre che nel nostro immaginario sono iper-verticali (il BVB di Tuchel) ad altre che invece sono più piatte (il Barcelona di Quique Setién). A ben vedere, questa contrapposizinoe è una contrapposizione di metodo e di ritmi più che di direzionalità.

Ok, dunque, il pallone in verticale prima o poi lo muovono tutti. Ma come lo fanno?

Palla lunga o palla corta?

Appurato che in verticale dobbiamo prima o poi andarci tutti, cosa significa che una squadra è verticale? Perché e come una squadra sarebbe più verticale di un’altra? La discriminante qui è strategica: alcune squadre preferiscono una costruzione del gioco paziente ma ritmata, perché tal allenatore vorrà muovere la struttura posizionale avversaria prima di esser sicuro di poter far progredire l’azione. È il caso, ad esempio, del primo Guardiola. Altri allenatori invece vorranno allenare la tensione verticale, puntare sull’imprevedibilità di un passaggio taglia linee anche a costo di ridurne la precisione: pensiamo ad esempio al Bayer Leverkusen di Schmidt. 

Un passaggio verticale permette di far avanzare la squadra con relativa rapidità sul terreno di gioco, portando l’intera compagine ad avere accesso a porzioni di campo più avanzate. Questo spesso porta anche ad oltrepassare giocatori o intere linee avversarie, col doppio risultato non solo di aver progredito nell’azione, ma anche e soprattutto diessersi lasciati degli avversari alle spalle. 

Sulla scorta dell’assunto che prima o poi in verticale dobbiamo andarci tutti, un giocatore può andare in verticale sia con palla alta che con palla bassa, sia con palla corta che con palla lunga. Quel che incide ai fini della definizione è lo spostamento in avanti del baricentro della squadra

E qui viene al pettine il primo nodo, o malinteso. La distanza percorsa dalla palla non è necessariamente indicativa del grado di “verticalità della squadra”: un passaggio a 5 metri in grado di far saltare la pressione avversaria è un passaggio estremamente verticale per le conseguenze che provoca in campo (prima tra tutte: l’avanzamento della squadra). 

Juventus-Sampdoria: la Juventus manovra centralmente, Dybala fa una sponda per Locatelli e poi si smarca; Locatelli non ci pensa un secondo e lo pesca tra le linee: la Juventus segnerà 10 secondi dopo. Dybala si trova a circa 7 metri dal compagno, ma il passaggio di Locatelli è estremamente verticale: sia per la direzionalità, che per le conseguenze positive sulla squadra. Meriti da dividere con l’argentino. 

Vale la pena aprire una parentesi e considerare che giocare perfettamente in verticale (con passaggi perpendicolari alle linee di fondo) non è sempre un’opzione. Anzi, spesso e volentieri non è proprio possibile. Tirar su la palla dritto per dritto è la maniera più diretta per arrivare alla porta, ed è di conseguenza anche la prima cosa cui badano le difese: nel calcio che non sia dopolavoro, è praticamente impossibile passare la palla in avanti senza sistemi di smarcamento più o meno sofisticati che possano farla arrivare al compagno o che possano permettergli di non perderla all’istante. Nel calcio, ogni passaggio in verticale deve essere costruito dalla squadra in possesso.

Inoltre, giocare costantemente a palla coperta (o a campo chiuso, per usare la terminologia di Coverciano) rende impraticabile un gioco verticale: lo smarcamento dovrà dunque riguardare anche il giocatore che esegue il passaggio o lancio in verticale e non solo colui che lo riceve. Per questo motivo, gli allenatori hanno messo a punto strategie sempre più elaborate per ovviare alle marcature, alla copertura del pallone e al pressing. Antonio Conte, ad esempio, si è spesso lanciato in lodi alla diagonalità, un concetto che tutte le sue squadre hanno sempre manifestato: il passaggio in diagonale permette a cui riceve una più agile postura verso la porta avversaria, e la messa in pratica di linee di passaggio diagonali è più agevole rispetto a quelle verticali. Viscidi e Mancini, dal canto loro, si sono fatti portavoci del celebre concetto di invasione (con e senza palla), che in relazione ai giocatori deputati alla costruzione determina le tracce da seguire per l’avanzamento dell’azione. 

Anche i passaggi diagonali hanno una componente di verticalità. Qui andare dritti per dritti proprio non si poteva, ma il passaggio di Locatelli taglia comunque fuori dall’azione i due attaccanti dello Spezia. 

In verticale “appena possibile”

Già, cosa significa giocare in verticale “appena possibile”? Questo è un secondo punto su cui è bene fare chiarezza. Provando ad interpretare, significa che se c’è la possibilità di far progredire l’azione e di alzare il baricentro della squadra con un passaggio progressivo, la si deve cogliere. E fin qui, tutti d’accordo: chi rinuncerebbe ad un passaggio cosi redditizio in situazioni lampanti?

Tuttavia, sul concetto di “appena possibile” bisogna mettersi d’accordo. Un giocatore che si avvede di un compagno smarcato tra le linee lo può provare a servire subito, ma i passaggi in verticale o tra le linee e i lanci lunghi hanno un grado di difficoltà ben più alto rispetto ad un passaggio conservativo in orizzontale tra centrali. Ricordiamoci che all’aumentare della velocità di esecuzione del passaggio e all’aumentare della potenza impressa, diminuisce anche la precisione dello stesso (ancor di più se poi aumenta anche la distanza da far percorrere alla palla). Questa è una chiave di lettura molto importante, perché a meno di situazioni studiate e movimenti preordinati, la cognizione della circostanza viene lasciata al calciatore. D’altra parte, se l’obiettivo dell’allenatore è creare giocatori in grado di affrontare e risolvere quasi istintivamente situazioni complesse, questo è un salto che va fatto (fare). 

In questo senso, andare in verticale “appena possibile” significa poco o niente se non è accompagnato da istruzioni più circostanziate o da un processo di crescita individuale e collettiva organico. Per rimanere alla Juve, la tensione verticale di Locatelli è ben più spiccata rispetto alla media, e l’ex Sassuolo non si farà tanti problema a rischiare una giocata più progressiva nonostante sia, per l’appunto, un rischio. Al tempo stesso, chiedere verticalità nei passaggi a Rabiot ha poco senso senza una guida. 

Oltretutto, se sia possibile andare in verticale non lo determina solamente il calcioatore in possesso, ma è anche il contesto tecnico e tattico attorno che fa la differenza. Ad esempio, un giocatore può anche essere capace di tagliere tre linee avversarie, ma se poi il compagno non è in grado di trasformare il potenziale della giocata (perché marcato, perché messo male, etc), non era poi possibile andare in verticale. In questo senso, il “prima possibile” va definito collettivamente, organicamente, e reso esplicito o attraverso automatismi rodati, oppure attraverso la creazione di identità tecnica.

Qui il passaggio di Locatelli è geniale, taglia due linee avversarie e farebbe salire la squadra di quasi 20 metri. Tuttavia il taglio di McKennie, che scala da destra verso il centro, è troppo profondo e il giocatore verso cui si sta muovendo intercetterà il passaggio in scivolata. 

Propedeuticità

Qui si apre dunque un terzo punto cruciale. Affinché una squadra possa esprimere compiutamente la verticalità desiderata, ha bisogno di riempire alcune condizioni.

Si dovrà prima di tutto lavorare sul ritmo della circolazione, perché agevolare la copertura del pallone agli avversari è il miglior modo per rendere quell’”appena possibile” un “mai nella vita”. Si dovrà poi lavorare sugli smarcamenti, per massimizzare le situazioni in cui sarà possibile andare in verticale. Si dovrà lavorare sulla postura degli avanti o di chi riceve: una ricezione spalle alla porta spesso annacqua i vantaggi di un laser pass e sebbene un Morata sia diventato molto abile nel girarsi rapidamente, Kean e Dybala non lo sono, Si dovrà anche lavorare sul volume del centrocampo, assicurandosi uno scaglionamento sfalsato, dinamico, e certamente non piatto, in modo da moltiplicare le linee di passaggio (diagonali, ma anche verticali). Si dovrà lavorare anche sulle corse dietro la linea avversaria delle punte – con movimenti sincroni – e degli esterni con – corse lunghe – qualora si decida di andare in verticale alzando il pallone. 

Insomma, la verticalità immediata per una squadra di calcio è un concetto allettante. Personalmente, nella quotidianeità del campo, mi piace provare a fare avanzare la squadra palla a terra il più velocemente possibile, ogni tanto rischiando anche qualcosa di troppo. Tuttavia, è evidente anche al tifoso più distratto che non si tratta di un modus operandi facile, né facile è la forma mentis che lo accompagna. In questo senso, alcuni assunti con cui ho aperto l’articolo sono quantomeno rivedibili, in quanto non rispecchiano né la complessità del gioco né la complessità cognitiva per “andare in verticale”.

Per approfondire:
Dizionario di Wyscout
Tactical Theory: Vertical build-up passing

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