Un’eliminazione meritata

Una Juventus troppo brutta per essere vera saluta anticipatamente la Champions League. Non è bastata la serata sontuosa di Federico Chiesa: i bianconeri vengono eliminati dalla propria incapacità di offrire un piano gara efficace.


È difficile commentare una partita come quella che ha sancito l’eliminazione della Juventus dalla Champions League, sia perché si tratta di una sconfitta fragorosa, sia perché vi sono state più partite nella stessa gara. Ad ogni modo, questa gara incarna alla perfezione il senso d’incompiutezza che la Juventus 2020/2021 ha trasmesso tutto l’anno. 

Con il compito di ribaltare il risultato dell’andata, Andrea Pirlo sceglie di cambiare ancora: il 4-2-3-1 d’emergenza visto contro la Lazio viene abbandonato per tornare al 4-4-2 ‘flessibile’. In difesa, Bonucci e Demiral sono accompagnati da Alex Sandro e Cuadrado sui lati, mentre a centrocampo Arthur e Rabiot fanno da cerniera centrale, con Chiesa che parte da sinistra. Ramsey è il jolly, chiamato a giostrare tra i reparti avversari e ricomporre la linea a quattro senza palla. Davanti, spazio alla coppia Ronaldo Morata. 

Sérgio Conceição, da parte sua, opta per un 4-4-2 più ortodosso, con due linee strette e giocatori di gamba per sfruttare il campo che la Juventus gli concederà. Determinato a non lasciare gioco interno né profondità alla manovra bianconera, il Porto difendeva con una linea a 6 e un quadrilatero più o meno mobile in mezzo: quando la Juve manovrava bassa i due attaccanti salivano, quando invece riusciva a schiacciare gli avversari andavano a comporre una linea a 4 davanti alla difesa. 

La Juventus ha rinunciato sin da subito a muovere lo schieramento avversario con il giro palla: il piano gara di Pirlo prevedeva piuttosto la ricerca degli esterni in isolamento (Chiesa e Cuadrado) e soprattutto servire le due punte con cross. Tanti cross. 

In realtà, la formazione della Juventus ha mostrato sin dai primi minuti degli scompensi abbastanza evidenti, sui cui il Porto ha costruito le proprie fortune di questa prima parte di incontro. Con l’idea di non giocare tra le linee avversarie, la Juve ha ‘regalato’ un uomo al Porto: Ramsey fluttuava senza profitto in zone centrali, ma era lento a riposizionarsi con solerzia sull’out di destra, dove i giocatori del Porto avevano una superiorità numerica costante per prendere in mezzo Cuadrado ed eventualmente Arthur. In questo modo, la Juventus scopriva il fianco destro della squadra. E siccome attaccava male, la Juventus difendeva conseguentemente male: la squadra ospite ha banchettato ripartendo negli spazi lasciati dalla Juventus sulla propria destra.

Questa qui sopra è l’azione del rigore: dopo una buona riconquista di Ramsey, Morata perde malamente il pallone; il gallese prova a riconquistarlo, ma scopre Cuadrado che, incerto sul da farsi, temporeggia. Il Porto alzerà palla su Otávio, che porterà via Arthur uscito in pressione. È l’inizio dell’effetto domino che porterà fuori posizione tutti i giocatori della Juventus. Rabiot è lento a leggere la situazione e a ripiegare, tanto che Sanusi andrà da Taremi senza alcuna opposizione. 

Il ribaltamento di campo coglie impreparata la difesa Juventus: Alex Sandro è costretto ad uscire, e così facendo libera il taglio verso l’esterno di Marega. Bonucci, inspiegabilmente, lo guarda a cinque metri di distanza. La sciocchezza di Demiral farà il resto. 

A questo punto la Juventus è costretta a recuperare almeno due gol. Tuttavia, continua ad attaccare in maniera monocorde e confusionaria, facendo affidamento a traversoni imprecisi e velleitari piuttosto che ad azioni manovrate, effettuati spesso dalla trequarti avversaria, facilitando dunque il compito della difesa portoghese nel ribatterla. Ma la causa ultima di questo cul de sac è la lentezza esasperante con cui la palla usciva da dietro e arrivava agli esterni, precludento loro ogni altra azione, dato che erano subito raddoppiati. Il giro palla senza mordente è un problema che la Juventus si porta dietro da almeno tre anni, e viene acuito quando i centrocampisti non sanno smarcarsi o quando i difensori devono guardare campo dopo aver ricevuto (come fa troppo spesso Bonucci) e toccano troppe volta il pallone. Oltretutto, sia Alex Sandro a sinistra che Ramsey a destra hanno offerto ben poche sovrapposizioni, preocupati più di tenere la posizione che di attaccare con i compagni.

Gli esterni bianconeri erano comunque in difficoltà: né Chiesa né Cuadrado avevano supporto, ricevevano spesso da fermi, e una volta in possesso del pallone venivano letteralmente lasciati a se stessi, raddoppiato (quando non triplicati), in uno sconfortante deserto di soluzioni. E poiché dovevano affrontare almeno un paio di avversari, non avevano nemmeno la possibilità di guadagnarsi il fondo. L’incredibile score parla di 60 cross effettuati in 120 minuti, di cui 32 dal solo, generosissimo ma impreciso, Cuadrado. La serata tragicomica della coppia d’attacco, sia in fase di finalizzazione che in quella di supporto alla manovra, ha fatto il resto. 

Questi problemi ricalcano perfettamente quelli avuti nella gara d’andata in Portogallo, quando anche lì la Juventus aveva dato l’impressione di non saper cosa farsene del pallone. È desolante vedere la squadra incappare negli stessi errori, negli stessi pattern autodistruttivi che non solo facilitano il compito agli avversari, ma frustrano anche i giocatori in campo. La frustrazione, mista a paura, è un pericolo enorme nello sport, perché spesso genera un circolo vizioso da cui è difficile uscire, anche negli sport di squadra. Così, il primo tempo è un ricettacolo di circolazione palla a U attorno al blocco avversario e di cross. 

La pessima serata di Ronaldo è raccontata dalla sua touchmap: 61 tocchi in 120 minuti, di cui solo 6 in area. Ma sarebbe potuta essere anche quella di Morata, 42 tocchi in 120 minuti e 14 palle perse. Fonte: WhoScored.

Oltretutto, la Juventus ha rinunciato (su indicazione tecnica? Per incapacità?) ad alzare la palla dietro la difesa avversaria: Arthur non l’ha quasi mai fatto pur avendone tempo e modo, Bonucci lanciava quasi esclusivamente sugli esterni; addirittura, il solo che ha provato a prendersi questa responsabilità con costanza e precisione è stato Rabiot. Pirlo non ha saputo opporre nessun correttivo in partita, che era iniziata giocando sugli esterni ed è morta nelle difficoltà sugli esterni. La squadra di casa non ha fatto vedere nulla di quello che il suo allenatore aveva indicato come basilare ad inizio anno: ricerca del terzo uomo, cambi campo e inserimenti in area.

Se la squadra era in balia dei propri mostri nel primo tempo, nel secondo quantomeno abbiamo visto una reazione di nervi. E non poteva essere che Chiesa a caricarsi la squadra sulle spalle, unico ad opporre verve, corsa e smarcamenti al muro portoghese. Dopo l’espulsione di Teremi, Conceição si è inventato un 5-4-0 dove Corona si abbassava a destra. Diluendo gli uomini della linea, Chiesa si è trovato nella possibilità di puntare più spazio. Infatti, il numero 22 si è reso protagonista di ottimi tagli senza palla che hanno scombussolato la difesa avversaria inserendosi tra il terzino (Manafá) e l’esterno (Corona), quindi tra il quarto e il quinto della linea. 

Qui invece passa alle spalle di Corona e per poco non segna. 

Eppure, nonostante la serata di grazia dell’azzurro, dopo mezz’ora di assalto la Juventus si è fermata, forse impaurita da qualche sporadica affacciata del Porto, forse stanca. I cambi, tardivi, hanno portato un po’ di freschezza, ma non hanno né modificato l’assetto della Juventus, né arricchito il piano gara che è ristagnato ancora una volta sul mandare il pallone in area. Area che, peraltro, è stata attaccata malissimo per tutta la partita dalle due punte (statiche e troppo lontane) e dai centrocampisti, con i soli Ramsey (McKennie, quando subentrato), e Chiesa, a dar manforte. Troppo poco, se pensiamo che il Porto portava in genere sei uomini in area. 

Un esempio

A questo punto è inevitabile chiedersi perché la squadra non abbia alcuna struttura tecnica o tattica a cui appoggiarsi nei momenti di difficoltà, perché non abbia leader tecnici in campo se non saltuariamente Chiesa o De Ligt, o ancora perché non abbia saputo opporre armi efficaci ad un piano gara avversario prevedibilissimo. Sono domande che, seppur sottintese nella conferenza stampa del post partita, sono rimaste sostanzialmente inevase.

La stanchezza e soprattutto la poca lucidità con cui la Juventus ha affrontato l’intero incontro si sono materializzate con più forza durante i tempi supplementari. In situazioni caotiche i valori tecnici si annullano, e la stessa superiorità numerica non è stata sfruttata a dovere. Per giunta, tra situazioni in cui la palla non è stato in gioco e continui ping pong tra le due sponde, i minuti di calcio effettivo sono stati risicatissimi. 

La Juventus fa comunque in tempo a prendere il quarto gol, che poi è quello decisivo per l’eliminazione, e lo fa producendo la quarta figuraccia di questo ottavo di finale. In teoria, si tende a non saltare su punizioni da 30 metri, e sicuramente non bisogna mai aprirsi girandosi. L’errore è di tutti e tre gli uomini in barriera. E Szczęsny, malgrado lui la palla la veda solo quando ‘esce’ dalla barriera, è difficile ritenerlo completamente esente. 

La Juventus saluta dunque la massima competizione europea. E lo fa con pieno merito, dato che su 210 minuti ne ha giocati in maniera convincente forse 45, a voler essere generosi, annullando così la presunta superiorità tecnica con la cronica assenza di strutture di gioco efficaci.

Per il secondo anno di fila, la Juventus esce agli ottavi; per il terzo anno di fila, contro una squadra largamente abbordabile. E se uscire brucia sempre, aver visto per l’ennesima volta delle prestazioni sconcertanti nei turni ad eliminazione diretta rafforza la consapevolezza di avere una squadra senza idee, ma anche senza capo né coda: una convinzione che, per l’appunto, i tifosi si portano dietro da almeno tre anni. 

I bilanci si faranno a maggio, ma vanno inevitabilmente soppesati sulla scorta delle parole della presidenza ad inizio anno, quelle stesse parole che avevano spostato l’asticella più in alto rispetto al 2019/2020 e volendo anche al 2018/2019, ritenuti insoddisfacenti. Una valutazione, quella societaria, che cozza fragorosamente con lo spettacolo desolante offerto in campo quest’anno. 

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