La pressione alta inizia a funzionare?

Uno dei dettagli più importanti, nelle squadre che hanno l’ambizione di gestire pallone e spazi, è il recupero palla. Nelle filosofie che tendono al gioco di posizione, il pressing ha sempre ricoperto un ruolo cruciale, perché restituisce ai giocatori lo strumento più prezioso per la vittoria: il pallone, e possibilmente in zone del campo avanzate. Non è un caso se il pressing organizzato è diventato una delle novità più importanti dello scorso decennio. Sarri stesso ha insistito parecchio sulla necessità di organizzare una pressione (individuale) ed un pressing (collettivo) impeccabili, ma è un concetto che di rado ha trovato un’applicazione costante in questo primo scorcio di stagione. In effetti, la Juventus raramente è riuscita a dare sostanza alla propria pressione, per una molteplicità di ragioni. Le indoli degli attaccanti (Dybala, Ronaldo e Higuaín su tutti), le difficoltà ad accorciare del centrocampo, i problemi a tenere una difesa alta in ogni momento, il tempo propedeutico ad un cambio radicale di mentalità, sono tutti fattori che hanno portato la pressione della Juventus a notevoli deficienze – che hanno poi conseguentemente esposto i punti deboli della squadra.

Contro il Cagliari, la Juventus è riuscita invece a portare una pressione organizzata, armoniosa e sincronizzata per praticamente tutti i 90 minuti. Cosa è cambiato?

Non sono tanto gli interpreti ad aver offerto prestazioni migliori. Ronaldo e Dybala erano spesso additati come poco inclini a portare pressione, e Bernardeschi era stato invece lodato proprio per il suo impegno difensivo in fase di riaggressione. Il modulo adottato del Cagliari ha, in qualche modo, aiutato la triconquista della palla: la specularità del 4-3-2-1 sardo al nostro 4-3-1-2 ha scaglionato meglio i nostri, che si sono trovati più vicini all’uomo. In questa maniera, hanno saputo anche indirizzare le uscite palla del Cagliari sugli esterni o su Olsen, con la conseguenza di forzare rinvii o proprio di recuperare palloni in zone pericolose.

In effetti, è stata proprio la riaggressione (cioè quello che in Germania chiamano il gegenpressing, la pressione successiva alla perdita del pallone) a funzionare benissimo. Una volta persa palla, i giocatori hanno inserito il pilota automatico e si sono avventati sul pallone, supportati dai compagni che salivano in blocco e soffocavano ogni velleità di ripartenza avversaria.

Dybala tenta un filtrante ambizioso per Matuidi. Intercettato.

Dopo un secondo, Dybala stesso si fionda su Nandez, con Rabiot al seguito e Alex Sandro pronto in seconda linea a stringere. Nandez, mal orientato col corpo, scaricherà grossolanamente su Nainggolan e proprio il brasiliano recupererà un pallone prezioso.

Sarri aveva indicato nel “coraggio” uno degli attributi fondamentali per operare una riaggressione proficua. Lo aveva notato con Pjanić, il quale aveva esitato ad alzarsi su Leiva contro la Lazio per paura di lasciare la difesa scoperta, facendo così però saltare il sistema di contro pressione. Il bosniaco contro il Cagliari è stato uno dei migliori in campo, forse rassicurato dalle coperture di Rabiot.

Ronaldo perde palla. Immediatamente Dybala e Matuidi, i più vicini all’azione, salgono senza esitare. Riname alto anche Pjanic, in copertura su Nainggolan.

Proprio a seguito di una triangolazione stretta, il bosniaco si trova ad essere l’uomo più vicino al pallone, ma in inferiorità numerica e posizionale. Senza esitazioni, si butta in avanti e riconquista palla.

Non è facile instillare un pensiero radicalmente opposto a quello messo in pratica finora. Lo disse bene lo stesso Sarri in conferenza stampa ad inizio anno: “i giocatori devono cominciare a pensare a difendere quello che hanno davanti e non quello che hanno dietro”. La Juventus era abituata a coprire la profondità alla minima palla persa, o (peggio) alla minima palla scoperta; ora le palle scoperte vengono aggredite, scoperchiando così un paradigma del calcio classico duro a morire – palla coperta salgo, palla scoperta scappo. Da diversi anni, parecchie squadre hanno dimostrato con continuità che questo modus pensandi non è più necessariamente valido.

Il cambiamento, soprattutto così radicale, richiede però tempo. Una pressione collettiva organizzata ed eseguita senza esitazioni è imprescindibile per un gioco che mira al controllo del pallone. Il Liverpool di Klopp, stancamente additato come esempio massimo di contropressing, è una squadra coraggiosa che ha abbracciato i rischi di una pressione ambiziosa. Rischi che tuttavia sono minimi, perché è uno strumento che se fatto bene paga dividendi altissimi. Segnali come quello della partita contro il Cagliari fanno ben sperare, soprattutto alla luce dell’atavicità in riaggressione che la Juventus aveva mostrato fino a poche partite fa. Un cambiamento radicale, più che benvenuto, che potrà fare da apripista verso un gioco senza i singhiozzi dell’autunno.

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