Pietro Anastasi è stato un grande Juventino, fino alla fine

Nello studio di mio padre, nascosta sotto una pila di libri e un mucchio di bollette non ancora aperte, c’è una scatola di legno in cui il mio vecchio conserva i ricordi a cui tiene particolarmente. A suo dire, uno dei più importanti è il biglietto di uno Juventus – Milan giocato al Comunale nel 1970. Mio padre era in Filadelfia quel giorno, e ancora oggi sostiene di essere stato abbagliato dallo scintillio della catenina che Pietro Anastasi portava al collo poco prima che il numero nove bianconero decollasse al centro dell’area di rigore del Milan e – colpendo il pallone con una spettacolare rovesciata –  lo spedisse alle spalle del povero Cudicini. Un gol sensazionale, che in questi giorni mio padre mi ha fatto rivedere almeno una ventina di volte su Youtube.

Io Pietro Anastasi non l’ho mai visto giocare ma ero allo Stadium il giorno dell’inaugurazione e ricordo distintamente il boato degli spalti quando lo speaker ne annunciò l’ingresso in campo definendolo “l’uomo venuto dal sud per fare grande la Juventus”. A distanza di più di quarant’anni dalla sua ultima partita in bianconero, l’amore nei suoi confronti era rimasto lo stesso. E non poteva essere altrimenti, perché la storia di Pietro Anastasi detto “Pietruzzu” è stata indissolubilmente legata ai colori della Juventus, fin da quando, non ancora ventenne, gli rifilò una tripletta giocando per il Varese. Fu anche per colpa di quei gol che, nell’estate del ’68, Juve e Inter litigarono per acquistarlo. Nonostante avesse letteralmente già indossato la maglia nerazzurra, Anastasi finì per iniziare il campionato in bianconero grazie all’intervento dell’Avvocato, che se ne assicurò le prestazioni pagando una cifra record e omaggiando il presidente del Varese (proprietario della Ignis) con una fornitura di compressori per frigoriferi.

La Torino di fine anni ’60 è un laboratorio sociale in cui le grandi fabbriche fanno da volano per l’industria del paese e attirano centinaia di migliaia di giovani meridionali, attratti dai posti di lavoro garantiti dalla Fiat. In quegli anni la figura di Anastasi trascende l’aspetto puramente sportivo e si tramuta nel simbolo sfavillante del riscatto sociale per intere generazioni, che lo eleggono a modello di una rivincita personale agognata come e forse più di una vittoria della loro squadra del cuore.

Nel corso della sua carriera, Anastasi ha conquistato tre Scudetti, una Coppa Italia e un Campionato europeo con la maglia azzurra. Ma, più di ogni altra cosa, si è guadagnato il rispetto degli avversari e l’amore incondizionato di una tifoseria che non lo ha mai dimenticato.

Anastasi si è spento dopo due anni di malattia, che ha sempre affrontato a testa alta, come faceva in campo con gli avversari più grossi di lui. Chi gli è stato vicino, assicura che  il suo ultimo pensiero – oltre che alla famiglia – sia andato alla sua Juve. Che ha seguito fino all’ultimo istante. O meglio, fino alla fine.

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