Chiacchierata con Guido Vaciago sul rapporto tra tifoso e mondo dell’informazione

Caro Guido, quest’estate ha visto registrare un fenomeno del quale vorrei discutere con te ritenendoti un giornalista molto bravo e che stimo da anni. Abbiamo assistito alla maggioranza del tifo bianconero sul web che ha scelto di ignorare la quasi totalità della stampa e delle televisioni “mainstream” per credere a tuoi colleghi giornalisti (alcuni sconosciuti fino a quest’estate, con tutto il rispetto) che però o hanno usato mezzi “alternativi” (Youtube, un sito non testata, un account Twitter, ecc…), o proprio provenivano da settori diversi. In tantissimi si sono fidati delle notizie di un’agenzia generalista, l’AGI, che di solito non si occupa di calciomercato, di speaker radiofonici, di giornalisti che di solito si occupano di arte e creatività, di un corrispondente de Il Sole 24 Ore che si occupa di economia, di chi scrive di solito di politica americana o di esperti di Medio Oriente. Ma di “voi” no. Poi ci arriviamo se per te sia esistita una pista Guardiola o no, ma restiamo al punto. Si sono fidati di loro e non dei vecchi classici giornalisti sportivi. Come ti spieghi questo fenomeno? Perchè questa perdita di fiducia? Colpa delle notizie su Ronaldo e Allegri bucate da molti?

« Non è una domanda che devi fare a me, ma a chi – come sostieni tu – ha perso la fiducia. Peraltro, chi, come me, fa parte di quello che tu chiami “mainstream” sarebbe molto interessato a conoscere la loro risposta. Purché la risposta sia articolata in modo coerente e intellegibile e non il semplice sfogo frustrato di chi vorrebbe leggere solo le notizie che gli piacciono e mai quelle che non gli piacciono. Altrimenti siamo di fronte a un fenomeno che ha sinistre analogie con quello dei no-vax che rifiutano la scienza e gli scienziati, andando alla disperata ricerca di chi assecondi i loro deliri. E in rete – ahimè – si trova di tutto, anche chi è pronto a spiegarti che i vaccini fanno male, bastano google e un po’ di pazienza (e di incoscienza).

Torniamo a noi…

« In generale, non mi piace la divisione fra media e il tentativo di creare categorie contrapposte. Non sono mai stato un grande amante delle etichette e delle categorie, perché poi dentro le categorie ci sono le persone, ognuna fatta a modo suo. Il giornalismo è come il ciclismo: uno sport individuale che si fa in squadra. E con questo voglio dire che ognuno risponde per se stesso. Così finisce che io posso trovare tantissime affinità con te, che sei un blogger, e magari meno con gente assunta in un giornale da vent’anni. In definitiva: non esistono “I giornalisti” o “I webbisti” o qualsiasi altra categoria, esistono Guido Vaciago, Antonio Corsa, gente con un nome, un cognome e un codice fiscale e ognuno di questi costruisce la propria credibilità e il proprio seguito. Perché, intendiamoci bene, non voglio neppure prendere in considerazione chi si nasconde dietro un nickname o un blog senza volto. Quello è fuori dal nostro discorso, quello per me non esiste.

Ah, per inciso, Tuttosport è stato il primo a dare Ronaldo alla Juve (1° luglio) e nessuno ha avuto una linea ferma e definitiva su Allegri, neppure sui canali meno ufficiali. E comunque piantiamola di giudicare sulla base di una notizia… ».

Aspetta. In che senso?

« Nel senso che un giornalista non si giudica se azzecca un nome di mercato. Altrimenti quella è cartomanzia e io non voglio fare l’astrologo. Un giornalista deve raccontare il presente e possibilmente spiegarlo. Ogni tanto può capitargli di anticipare il futuro, ma non è il suo mestiere e non va giudicato su quella base. Capisco che sapere in anticipo chi arriva alla Juve sia l’obiettivo di molti tifosi, ma questo significa affidarsi a una scienza divertente ma inesatta che è il calciomercato. Io e la mia squadra lavoriamo sempre con serietà e metodo sul calciomercato, ma esistono talmente tante componenti in una trattativa che, per quanto tu la segua con rigore e attenzione, può improvvisamente svilupparsi un modo completamente diverso. Il bravo giornalista non è un attaccante, ma un difensore o tutt’al più un mediano: deve proteggere quanto possibile la verità, non anticiparla a tutti i costi, deve raccontare ciò che succede dando una chiave interpretativa. Oggi invece il popolo del web compila tabellini con i nomi azzeccati e quelli no: follia pura, così si giudicano gli scommettitori, non i giornalisti ».

Parliamo di un fatto concreto: Allegri.

« La vicenda Allegri è esemplare: sono state due settimane totalmente ondivaghe, in cui i protagonisti cambiavano idea ogni due giorni: ovvio che il racconto day by day è stato un po’ a zig zag, ma chi ha detto fin dall’inizio, senza mai cambiare, che Allegri sarebbe andato via, ha avuto fortuna, perché quando l’ha scritto ha, di fatto, scommesso su una delle due ipotesi senza avere certezze. Perché a un certo punto poteva prevalere la componente societaria che voleva continuare con Allegri. Un bravo giornalista è quello che alla fine ti spiega come sono andate le cose e perché, almeno è quello che cerco nei settori dove sono lettore e non giornalista, come per esempio la politica. Non mi interessa sapere prima chi vincerà le elezioni, ma il perché le ha vinte tizio e se è una cosa buona o cattiva per l’economia ».

Molti tuoi colleghi hanno sollevato il problema dell’informazione tradizionale vs quella dei “guru del web”. In alcuni casi, si sono scagliati anche con forza, facendone una battaglia di metodo, oltre che di mezzo. Sai che non mi trova molto d’accordo. Il web non ha prodotto “fonti”, suvvia, a meno di non considerare account anonimi Twitter una cosa seria. Io ci ho visto altro: si è trattato comunque di giornalisti vs giornalisti. Come si può, perciò, scegliere correttamente di chi fidarsi? Ti offro questo spazio per convincere chiunque ci legga a preferire te piuttosto che chi ha utilizzato canali non mainstream, vai con lo spottone!

« ALT! Ti fermo. Io non devo essere eletto, quindi, non devo convincere nessuno. E, come ti ho detto prima, vorrei stare fuori dall’idea delle divisioni o delle categorizzazioni. È un punto di partenza profondamente sbagliato, perché toglie l’attenzione sull’unica divisione possibile: giornalisti o paragiornalisti che lavorano in modo serio e giornalisti o paragiornalisti che lavorano in modo cialtronesco. Se pensiamo che gli uni o gli altri possano essere solamente da una parte, abbiamo una visione un po’ fiabesca del mondo. Ognuno di noi ha un nome, una faccia e una sua credibilità agli occhi del pubblico. Non parliamo di categorie, ma di persone singole. C’è Vaciago, c’è Momblano, c’è Cornacchia (il più bravo di tutti), c’è Gennarelli, c’è Della Valle, c’è Pedullà… Ognuno con la sua storia, la sua professionalità, il suo metodo di lavoro, i suoi scoop e le sue tranvate. Pensare che ci sia qualcuno di infallibile è fanciullesco, pensare che ci sia una categoria che, in toto, sia più credibile è folle. Informarsi, nel rutilante mondo delle nuove tecnologie, è paradossalmente diventato un po’ più difficile rispetto alla passato: l’utente deve districarsi fra troppi mezzi e troppi canali, ma soprattutto ci sono sempre meno remore a sparare una notizia, il che moltiplica in modo esponenziale le bufale a disposizione del pubblico. Non può andare avanti così, ma al momento posso solo suggerire di usare molto la testa e il buon senso quando ci si avventura sul Web nel tentativo di informarsi. 

A questo proposito, posso spiegarti la differenza fra me e una qualsiasi star dei social ».

Spara.

« Se io sbaglio l’allenatore della Juventus, il mio direttore mi chiama nel suo ufficio, mi cazzia in modo pesante e avvisa: la prossima notizia che buco vado a passare la pagina del meteo e dell’oroscopo; se una social star sbaglia l’allenatore della Juventus, magari alimentando un sogno per qualche settimana, non ha un direttore che lo cazzia, ma – anzi – ha ottenuto un notevole incremento della popolarità, delle visualizzazioni, della visibilità personale. Troverà gente che lo giustifica e, in generale, avrà fatto fare un saltino alla sua fama («Purché se ne parli», diceva Oscar Wilde, no?). Insomma, è una partita che si gioca con regole diverse, è come giocare Real Madrid-All Blacks. «E’ un approccio differente!», griderebbe Adani. E questo è effettivamente il mio pensiero: ho un rispetto enorme per chi fa informazione in modo alterativo, ma non posso competere con lui e lui non può competere con me. Il che non significa necessariamente che le mie notizie sono più buone, ma che i percorsi del prima e del dopo sono diversi, fors’anche distanti. E a volte i percorsi contano ».

Il giornalismo, oggi, è ancora “soltanto” informazione o deve misurarsi – grazie proprio ai social – con la necessità di dare le notizie nel più breve tempo possibile? C’è ancora la possibilità di temporeggiare, di fare le opportune verifiche, di dedicare il giusto tempo alle notizie?

« Il giornalismo sta cambiando e come tutte le fasi di transizione è un momento critico. Un piede da una parte, uno dall’altra, in equilibrio precario nel districarsi fra un approccio classico, rigoroso e magari un po’ palloso (che peraltro piace sempre meno, numeri alla mano) e l’attitudine più moderna, rapida e ficcante, ma anche fatta di slogan e poco approfondimento, ottima per essere dispensata sui social, ingurgitata e subito immessa nel tritacarne dei commenti (non tutti a proposito). Io sogno, tra qualche anno, una fusione fra le due filosofie per quello che sarà il giornalismo del terzo millennio: più ordinato e meno caotico dell’attuale giornalismo online, ma anche meno ingessato di quello cartaceo ma, spero, soprattutto più affidabile. Devono darci una mano gli utenti, aiutarci a fare una selezione darwiniana e, senza dubbio, tornare a credere che l’informazione ha dei costi e non può esistere quella gratis.

Se qualcuno ve la regala fatevi sempre delle domande su cosa ci guadagna e come. Chiedetevi soprattutto: perché qualcuno dovrebbe regalare qualcosa di buona qualità? Chi regala notizie, in genere, in cambio vuole dei clic (che sia una storica testata nazionale o il blog di un ragazzino) e quindi inevitabilmente finirà per proporvi qualcosa che stimoli i vostri istinti più primitivi (felicità, rabbia, indignazione, eccetera). E, attenzione, a questo non sfugge nessuno. Anche se le versioni cartacee dei giornali stanno, chi più chi meno, proponendo un’informazione più solida ».

Ok, da domani AterAlbus a pagamento!! (no, scherzo). Restiamo ancora su questo tema che è interessante. Ci spieghi meglio il tuo lavoro? Come nasce una notizia? Cosa c’è dietro una “bomba” di mercato data in anteprima? Immagino ci siano tante telefonate, riscontri, ragionamenti, verifiche. Anche un pizzico di rischio? Ti sei mai “buttato” su qualcosa per mettere la bandierina e poter dire di esserci arrivato per primo?

« Una notizia nasce ogni volta in modo diverso. Può essere un’ispirazione che poi vai a verificare, può essere una frase smozzicata in una telefonata con un procuratore o un direttore sportivo. Può essere un collega straniero che ti mette sulla buona strada. Esistono davvero decine e decine di modi in cui imbattersi in una notizia. Poi scatta la fase della verifica, anche quella multiforme, perché verificare una notizia significa farla inevitabilmente girare (un rischio) e poi ci sono notizie che sono complicate da verificare per l’inaccessibilità dei protagonisti o il loro interesse a tacere. Mentre ti rispondo mi rendo conto di quanto sia complicata la risposta alla tua domanda perché ogni singolo caso fa storia a sé. Però posso raccontarti cosa è accaduto con Guardiola ».

Ecco, Guardiola! Cosa è successo?

« Tra marzo e aprile raccogliamo voci su contatti fra lui e la Juventus. Contatti che trovano immediato riscontro: esiste un interesse e un discorso portato avanti. Dopo qualche giorno però la pista si raffredda, ci risulta che Guardiola non voglia, per il momento, lasciare il City. Quindi teniamo sempre più bassa l’ipotesi. Poi alcuni colleghi rilanciano l’idea, la notizia diventa virale, crea un hype mostruoso e quindi ci vediamo costretti a verificare nuovamente. Contattiamo nell’ordine: il fratello di Guardiola, il suo agente, il ds del City Begiristain e quello della Juventus Paratici, oltre a una serie di agenti dei giocatori del City, in stretto contatto con il club per programmare la prossima stagione. Li sottoponiamo a un vero martellamento quotidiano, finendo persino per irritare qualcuno di loro, incredulo di una tale ossessione nel verificare la notizia ogni giorno. Raccogliamo solo smentite, alcune anche brutali, e decidiamo quindi che in assenza di nostro materiale non possiamo dare ai nostri lettori questa notizia: sarebbe come prenderli in giro. Ovviamente vediamo quello che succede intorno a noi, ma siamo saldi nel nostro metodo che, in una tempesta, è l’unico elemento al quale aggrapparsi: o troviamo una conferma o non diamo la notizia. Anche perché le nostre fonti non erano generiche, non erano persone ben informate, erano LE persone coinvolte, erano fonti dirette. O stavano organizzando la più gigantesca supercazzola mai fatta, oppure dovevamo stare tranquilli ».

Perché i giornali sparano titoli esagerati di mercato che spesso si rivelano dei boomerang?

« Nel processo della nascita di una notizia l’ultimo passaggio è il più delicato: la titolazione. Perché un titolo riassume, malamente perché con appena 3 o 4 parole e qualche congiunzione, un concetto magari ricco di sfumature come una trattativa di mercato e, inevitabilmente, appiattisce tutto. Purtroppo le persone, nel 70/80% dei casi, si fermano al titolo e quindi tutto quel lavoro di verifiche e di distinguo che hai fatto nell’articolo evapora in secondo, quello che ci vuole per leggere il titolo. Così diventa difficile distinguere fra un cazzaro e un giornalista preparato. E invece quella distinzione è importante: leggere solo i titoli è un tuo diritto, ma se vuoi commentare la notizia e giudicare il mio lavoro seriamente, pretendo che tu legga anche l’articolo. Sennò è come dire che Manzoni scriveva romanzi rosa perché “Promessi sposi” sembra il titolo di Harmony ».

Siamo d’accordo. Io poi ho chiamato un blog “Uccellinodidelpiero” e all’interno ci trovavi informative dei Carabinieri, analisi tattiche e bilanci finanziari, tutte cose serissime… Se ti fermi al titolo o in generale alle apparenze, è colpa tua. Ultima domanda, e ti ringrazio per il tempo dedicatoci. Perché, nel 2019, con tutte le info che si trovano sul web, qualcuno dovrebbe compare un quotidiano sportivo? Ci credi ancora o anche tu attendi lo switch verso il digitale come un passo inevitabile?

« Per la ragione di cui sopra: il Web è un mare immenso in cui pescare gratis, ma questo comporta dei rischi. Dietro un quotidiano c’è un lavoro pensato in cui le notizie non vengono appiattite, ma pesate e, in linea di massima, spiegate. Non è una differenza piccola. La lettura di un giornale è un lavoro intellettualmente più attivo e stimolante dello scorrere compulsivo di post su un social network, il livello di approfondimento che ha una notizia è maggiore, aumentando le conoscenze di chi legge e offrendo maggiori spunti di riflessione e quindi di commento. I giornali non sono esenti da errori e omissioni, ma il modo stesso di confezionarli e di usufruirne offre più garanzie.

I giornali sportivi in questo momento storico pagano la forte polarizzazione del tifo, l’estremizzazione dei sentimenti che sfocia nel becerume sui social network, dove certa gente viene a vomitare le proprie frustrazioni. Inoltre, sui social network i giornali sportivi vengono spesso sbeffeggiati, collezioni di prime pagine con titoli sparati vengono pubblicate per screditare una testata o un direttore, ma chi fa queste operazioni probabilmente non ha mai sfogliato uno di quei giornali. E’ un po’ come scegliere le fotografie con le peggiori espressioni per denigrare una persona: un metodo un po’ vigliacco.

Poi forse i giornali sportivi devono migliorare, come tutto. E inevitabilmente vivranno  un’evoluzione verso il mondo digitale. Resta fermo un punto: l’informazione, qualsiasi tipo di informazione, ha dei costi. Preferisco pagarli direttamente, magari stabilendo un patto economico e d’onore con chi me la fornisce (un po’ come con il parrucchiere o il macellaio di fiducia), che non sapere esattamente come, dove e chi sto pagando per quello che leggo e vedo. Ma poi siamo sicuri che dopo tutto questo discorso il problema sia l’informazione? ».

Cosa intendi dire?

« Che dopo settimane di risse sui social io credo che non sia un problema di informazione ma di educazione generale. Parlo a titolo personale, naturalmente, ma io non sono disturbato da chi sostiene una teoria diversa dalla mia, sono disturbato da come la sostiene. E nella vicenda Sarri-Guardiola (battezziamola così) a molti è venuta a mancare l’educazione nel proporre la propria notizia. La situazione è degenerata e si è arrivati a vette di volgarità e mancanza di rispetto che mai avevo vissuto per una questione di mercato. Ora vedo molta gente che si sbraccia per cercare di analizzare la vicenda spiegando spaccature fra media o fra media e pubblico… Non lo so, può darsi, ma io suonerei l’allarme per la maleducazione imperante e la mancanza di rispetto che coinvolge sempre più utenti dei social, chiunque essi siano. Quella è la deriva più barbara e pericolosa, altro che Sarri e Guardiola ».

Grazie Guido. Alla prossima.

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