Spezia, Ferencvàros e le difficoltà della Juventus di Pirlo

Il processo prima dei risultati. La prestazione prima della vittoria.

Questa è la ragione per cui i giudizi sullo stato di salute di una squadra non possono unicamente dipendere da quanto segna il tabellone a fine gara. Conta il campo, almeno per me. Conta il rendimento, conta quello che succede.

Due vittorie sono sempre due vittorie. Sono arrivate, fanno bene. Sono giunte al termine di gare con avversari modesti, ma le prestazioni hanno messo in luce ombre che richiedono interventi mirati e decisi.

Il calcio è uno sport tutto sommato complesso nella sua apparente semplicità racchiusa nelle sue cinque fasi: quando hai il pallone, quando hai perso il pallone, quando il pallone lo hanno gli altri, quando hai recuperato il pallone, quando batti o gli avversano battono un calcio da fermo. Nessuna fase è slegata all’altra, il tutto fa l’insieme. Non si può giudicare il rendimento di una squadra prendendo in considerazione solamente una di queste.

Quando Pirlo è stato annunciato come allenatore della Juventus, la curiosità era sulle sue idee. Abbiamo parlato del gioco di posizione, della metodologia d’allenamento, troppo peso probabilmente è stato dato alla fase di possesso, ma nel mondo dello sport chi vince è completo, presta attenzione ed è bravo in tutte le fasi. La Juventus, ora, non eccelle in nessuna di queste. Pirlo e Chiellini, nelle immediate interviste post trasferta ungherese, si sono soffermati con lucidità e onesta sulle difficoltà incontrate. La squadra, come visto già l’anno scorso, ha momenti di alta intensità seguiti da prolungate parti di gara in cui cala drasticamente, incapace di mantenere questo ritmo. Questo limite è un difetto enorme, da risolvere allenandosi ad alta intensità, confrontandosi continuamente con i giocatori, scegliendo quelli più adatti alla mentalità che vuoi dalla squadra, difetto che nasce anche dalla passività spesso crescente in fase di non possesso.

Intelligenza, organizzazione mentalità ed emozioni collettive e condivise che devono essere alla base di una squadra che vuole vincere non solo coi guizzi momentanei. La Juventus difende malamente. È lunga e sfilacciata. I reparti sono distanti tra di loro e altrettanto lo sono i giocatori di uno stesso reparto. Il pressing è l’arma difensiva per togliere tempo e spazio agli avversari; per utilizzarla serve che i giocatori accorcino con costanza e aggressività. Ora basta che la squadra avversaria imposti a 3 per avere superiorità contro i nostri due attaccanti; basta che abbia un vertice basso per superare la prima pressione; basta allargare il gioco per trovare gli esterni liberi. Siamo scolastici e passivi, non va chiaramente bene.

Se squadre come Spezia e Ferencvàros ci mettono in difficoltà abbiamo degli ostacoli alti da aggirare. Giusto soffermarsi sul fatto che alcuni giocatori, Bonucci su tutti, tengano la squadra bassa. Sono abitudini, convinzioni, idee radicate nel tempo.  Sbagliato soffermarsi unicamente su questo. I terzini, per esempio, tengono troppo la posizione e non rompono la linea difensiva; restano stretti e non scivolano in maniera aggressiva. I centrocampisti, a loro volta, sono distanti dalle punte e tra di loro.

In più, il contro pressing è efficace solo nelle idee. La squadra si deve abituare in questo, deve essere reattiva e aggressiva. Cosa fare? Allenarsi, tanto. Non basta però, perché anche qui è necessario scegliere i giocatori che diano risposte a quello che vuoi. Ne abbiamo in rosa? Sì, di più rispetto l’anno scorso. Se saremo in grado col tempo di diventare una squadra che difende collettivamente con aggressività e intensità, unite a organizzazione collettiva, vinceremo, perché le prestazioni attuali richiedono netti e decisi miglioramenti.

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