Le Juventus di Allegri

Il quinquienno di Allegri è lontano dall’essere un blocco monolitico d’ortodossia ideologica, ed assomiglia anzi più ad un prisma, che cambia colore a seconda dell’angolazione da cui lo si guarda. Con questo articolo vogliamo passare in rassegna i momenti tattici più significativi dell’ultimo lustro bianconero, che fondono colpi di genio e difficoltà dell’ultimo Allegri.


2014/2015 – Labor limae

di Andrea Lapegna

Quando Massimiliano Allegri prende per mano la Juventus nel luglio 2014, trova una squadra dalla forte identità tattica. La dirigenza ha messo mano alla rosa in maniera minimalistica, aggiungendo ad un gruppo ritenuto maturo e formato solamente l’acquisto di Morata e quello di Evra. Se l’eredità emotiva di Antonio Conte ha accompagnato i primi mesi del nuovo tecnico, l’eredità tattica si è fatta sentire forse anche più a lungo. Improntata su un 3-5-2 quasi dogmatico, la squadra aveva maturato solide certezze in campo, tra cui la gestione del palleggio basso e la repentina ricerca della verticalità. I movimenti dei calciatori erano talmente paradigmatici che veniva eseguiti in automazione. Allegri ha subito dato credito ai ritratti che lo dipingono come uomo intelligente e accorto, andando a toccare soltanto in maniera marginale l’impianto tattico di Conte, ed aggiugendo sapientemente strati di gestione psicologica. Allegri ha cominciato ad aumentare la consapevolezza della squadra che sembrava invece arrivata ad un collo di bottiglia.

Così, la prima stagione di Allegri non puo che cominciare con un solo modulo, il 3-5-2. Troppo tangibile il contributo eccezionale della BBC per essere abbandonato, e altrettanto importante è stato per Allegri poter contare su un centrocampo a tre ben assortito e tecnicamente superlativo. La squadra ha così in gran parte replicato i dettami tattici delle stagioni passate, con Allegri che è andato a limare alcuni aspetti in maniera talmente chirurgica che non ci siamo nemmeno accorti a che punto della stagione ha cessato di essere la Juve di Conte e quando ha invece cominciato ad essere a tutti gli effetti quella di Allegri.

Uno degli aspetti su cui ha maggiormente lavorato il livornese è stato l’assortimento di movimenti richiesto alle due punte. Tévez e Llorente erano abituati ad offrire soluzioni ad elastico, dove non era sempre l’argentino ad accorciare verso il portatore; l’attacco delle seconde palle era frizzante, spesso un’occasione per accelerare il ritmo. Invece con Allegri abbiamo ritrovato due punte più spesso in linea tra di loro, ed il progressivo inserimento di Morata – con i suoi eccellenti movimenti in orizzontale – ha dato ulteriori livelli a questa fluidità. Un passo obbligato verso uno stile di gioco più ragionato e meno frenetico. Con Tévez ha formato una coppia in grado di giocare su più registi, potenzialmente adatta a qualsiasi calico e a qualsiasi difesa.

Un altro cambiamento significativo è stato il coinvolgimento degli esterni nella fase di possesso. Se fino ad allora eravamo abituati a servire gli esterni solo dopo il consolidamento del possesso, dall’inverno uno tra Lichtsteiner e Asamoah (o Evra) scendeva quasi sulla linea dei centrali per coadiuvare una circolazione bassa forse meno intraprendente ma non per questo meno efficace.

A questo labor limae si è sostituito un cambiamento più sostanziale dalla primavera 2015, ossia il passaggio definitivo alla difesa a quattro. Il 4-3-1-2 della Juve ha ricordato a molti la tesi di Coverciano di Allegri, in cui dettagliava non solo il centrocampo a tre – quasi un marchio di fabbrica – ma anche e soprattutto il ruolo del trequartista che in Vidal prima e Pereyra poi ha trovato una valida interpretazione del credo allegriano, ascrivendo i due sudamericani a pieno titolo nel filone del Kevin-Prince Boateng.

Una menzione speciale la merita il ruolo delle mezzali, che si sposa magnificamente nella corrente di pensiero allegriana. Pogba e Marchisio (o Vidal in alcune occasioni) hanno dimostrato un dinamismo fuori dal commune, rispondendo in maniera più che positiva alle istruzioni del tecnico. Entrambi assicuravano sia la difesa dell’ampiezza in supporto ai terzini, sia i cruciali inserimenti nei mezzi spazi che hanno permesso alla squadra di avere la meglio su Borussia, Monaco e soprattutto Real Madrid. In effetti, il cammino in Champions League è un ottimo manifesto, sia della Juve che aveva in mente Allegri sia del suo stesso lavoro di minuziosa accordatura della squdra alle sue idee.

Una partita paradigmatica.

2015/2016 – Connessioni

di Andrea Lapegna

Il secondo anno si apre con i suggestivi innesti di Dybala e Mandzukic, che sparagliano le carte in attacco. Le partenze di Tévez ma soprattutto di Pirlo e di Vidal lasciano un vuoto apprezzabile a centrocampo, colmato solo in parte dalle (mancate) maturazioni di Pereyra, Sturaro, e dal contributo – più numerico che qualitativo – di Lemina e Hernanes. In un contesto di grandi cambiamenti, Allegri ha giocoforza impiegato del tempo a far incastrare tutti i pezzi del puzzle, alimentando così la narrazione della partenza “diesel” in campionato, per poi finalizzare il vestito migliore alla squadra in inverno.

L’inizio a dir poco claudicante di quell’annata è stato comunque un campanello di allarme non da poco. Il centrocampo ha pagato il minor tasso tecnico, tanto che Allegri si è trovato costretto ad adattare Marchisio e alla bisogna anche Hernanes (inizialmente testato da trequartista) da cinco; in generale, i nuovi innesti sulla mediana hanno offerto solo tanta quantità – sfociata per giunta in spaziature e distanze spesso approssimative – delegando quindi a Pogba e Dybala l’onere dell’inventiva.

Ed il primo ad accorgersi di questi scompensi è stato proprio Allegri. Due sono le mosse che gli hanno permesso di portare a casa la stagione anche questa volta. Il primo è stata una soluzione quasi naturale, ancorché per niente banale, ai problemi della fase di possesso. Ha infatto cominciato a rinunciare ideologicamente alla simmetria, alzando Pogba e abbassando contemporaneamente Dybala. In un modulo fluido difficile da raccontare a parole, e oscillando tra un 4-2-3-1 e un 3-4-3, Allegri ha dichiaratamente schierato i suoi uomini migliori in quei mezzi spazi che aveva attaccato con grande difficoltà fino ad allora. Ha dunque avvicinato le due principali fonti di gioco assecondandone la naturale associatività e contribuendo in tal modo a creare il mito di Allegri come facilitatore di “connessioni tecniche” tra i calciatori.

La seconda astuzia è stata far capire alla squadra che si potevano anche accettare lunghe fasi di difesa posizionale, e che in ogni caso i giocatori avevano le qualità per attaccare in campo lungo (a volte lunghissimo). Fondamentale è stato l’innesto di Cuadrado, che in quella versione continuava ad essere un giocatore funambolico e istintivo; due caratteristiche ben si coniugavano con la rapidità di pensiero e di palleggio che Allegri stave chiedendo in quel momento. Un ruolo iprescindibile è stato ovviamente cucito sulle spalle di Pogba – su cui capeggiava anche il numero 10 – e a cui sono state affidate grandi libertà di scelta con la palla, confidando nell’estro del giocatore. Una juve meno riflessiva, ma assolutamente brillante.

Non va tuttavia sottovalutato l’apporto di Marchisio nel nuovo ruolo di mediano. Dopo aver costruito le sue fortune incastonandosi nel firmamento bianconero come mezzala iper-dinamica sui generis, Marchisio si cala nel nuovo ruolo con sorprendente facilità. Le sue qualità di schermo, in particolare, blindano la difesa e permettono alla Juventus di tirar fuori una rimonta straordinaria.

Marchisio intercetto Gladbach
Le schermature di Marchisio dovrebbero diventare proverbiali. Fonte: l’Ultimo Uomo

Ci sono due partite che fotografano benissimo questa svolta. La prima è quella a Verona contro il Chievo in cui Pogba e Dybala hanno dato vita ad una serie di duetti che fanno ancora stropicciare gli occhi per l’affinità elettiva tra i due e la grande complicità tecnica. La seconda è senza dubbio il ritorno degli ottavi di Champions League a Monaco di Baviera, dove un 4-5-1 compatto e brillante ha fortemente messo in crisi la versione teutonica del juego de posicion.


2016/2017 – Confusione e il 4-2-3-1

di Luca Rossi

Nella sessione estiva di mercato del 2016 hanno salutato la Vecchia Signora Alvaro Morata, destinazione Madrid, e soprattutto Paul Pogba, perno e giocatore chiave della Juventus 2015/2016, destinazione Manchester a cui si accompagnano una serie di operazioni secondarie in uscita (Zaza, Pereyra, Padoin). Imponente però è anche il mercato in entrata: nell’ordine arrivano Pjanić, Dani Alves, Benatia, Pjaca, Higuaìn e il ritorno in prestito di Cuadrado. Come testimonia quest’immagine (a cui tecnicamente andrebbe aggiunto anche Asamoah, all’epoca però ancora considerato mezz’ala) si cerca di seguire il solco tracciato nella stagione precedente: il 3-5-2. L’acquisto di Benatia è orientato a fornire un’alternativa più che valida a una BBC un anno più anziana mentre Dani Alves, classica occasione di mercato, va ad aumentare la qualità del già ampio pacchetto di terzini. Conscio di queste possibilità, Allegri inizia la stagione riproponendo il 3-5-2 con un approccio più aggressivo, di maggiore intensità e con l’obiettivo di recuperare il pallone più in alto. La partita col Sassuolo alla terza giornata sembra dare risposte più che positive con Dybala nell’half-space destro e Pjanić in quello sinistro a combinare e dettare i tempi per poi dare palloni a un letale Gonzalo Higuaìn.

https://www.youtube.com/watch?v=eUQyRrw07Y0

Allegri, però, (a cui fa eco pure Chiellini) non pare convinto per via delle occasioni concesse alla squadra emiliana, ritenute eccessive. I mesi successivi, come spesso è capitato nelle prime parti di stagione di Allegri, vivono di esperimenti più o meno funzionanti per rispondere ai problemi strutturali che accompagnano la Juventus e che la accompagneranno in verità fino a metà Gennaio. In primis l’assenza di Pogba rende il centrocampo privo di un giocatore strabordante fisicamente e dominante tecnicamente in grado, da solo, di eludere il pressing avversario, rompere le linee di pressione e portare il pallone in avanti di 30 metri. In secundis la mancanza a inizio stagione di Marchisio, per via del brutto infortunio al crociato, priva la squadra di un equilibratore tattico eccellente quali non sono né Lemina né Hernanes, chiamati a sostituirlo.

Il risultato è che la manovra in fase di possesso è prevedibile, molto spesso perimetrale (a U) e la squadra fa fatica ad accedere con continuità e precisione all’ultimo terzo di campo. Dybala è spesso costretto ad abbassarsi per venirsi a prendere il pallone e aiutare la squadra nella risalita. I movimenti su traccia interna di Dani Alves (molto diversi da Lichtsteiner o Cuadrado che si muovono lungo la linea esterna), quasi da regista occulto, non vengono compensati da movimenti ad allargarsi dei compagni. Tutto questo porta a uno scaglionamento non ottimale che, nonostante le vittorie, non convince (basti pensare al faticosissimo doppio scontro contro il Lione ai gironi). Il percorso inoltre si macchia di tre sconfitte: Inter a settembre, Milan a ottobre ma soprattutto Genoa a fine novembre. La netta sconfitta di Marassi (3-1, ma 3-0 fino all’82esimo) è l’emblema della confusione e dei problemi di una Juventus che non ha ancora trovato la tanto agognata quadra. Nel match di Genova si propone una difesa a tre con Dani Alves terzo centrale di destra, Pjanić mezz’ala sinistra e Cuadrado seconda punta alle spalle di Mandžukić. Il risultato vede una squadra incapace di risalire il campo e di reagire al pressing fortemente orientato sull’uomo del Genoa. Mancano le connessioni tra i giocatori e anche la lettura nelle transizioni difensive è alquanto deficitaria. La prima mezz’ora di questa partita fu correttamente definita da Andrea Lapegna nella sua analisi come “i peggiori trenta minuti della Juventus di Agnelli”. Nelle settimane successive, grazie anche a un Marchisio recuperato in pianta stabile, Allegri prova a optare per il 4-3-1-2 con Pjanić sulla trequarti per aumentare la qualità del palleggio negli ultimi 30-40 metri, in virtù anche dell’assenza di Dybala per infortunio. Questa mossa porta qualche beneficio per la trasmissione del pallone ma comunque non evita la sconfitta ai calci di rigore in Supercoppa contro il Milan. Nel mercato invernale la dirigenza bianconera ritiene opportuno, ragionando sul rombo di centrocampo, investire in quel settore e acquista Rincon dal Genoa.

La partita della svolta arriva il 15 gennaio con la Fiorentina all’Artemio Franchi: la Juventus perde male per 2-1 dopo una partita in cui ha subito la perfetta esecuzione del pressing da parte dei viola che ha soffocato sul nascere qualsiasi velleità bianconera. La Juventus è apparsa inferiore in questa partita da ogni punto di vista: tattico, mentale e persino tecnico. In questo momento Allegri capisce finalmente che bisogna dare una svolta, offrire una novità alla sua squadra. Contro la Lazio fa il suo esordio il 4-2-3-1. Pjanić e Khedira compongono il doble pivote, Cuadrado, Dybala, Mandžukić e Higuaìn giocano tutti e quattro dall’inizio.

Notare Mandzukic abbastanza basso per prendere le palle alte. Evidente la centralità di Pjanic

Questo nuovo modulo sembra portare innanzitutto maggiore entusiasmo alla squadra, aspetto sul quale Allegri ha spesso insistito nelle conferenze stampa successive, ma soprattutto permette ai giocatori di esprimersi al meglio. Il lato destro del campo diventa la zona del campo in cui la Juventus sviluppa maggiormente l’azione grazie alle qualità in palleggio degli interpreti (Dani Alves, Bonucci, Cuadrado, Dybala ed eventualmente Pjanić) mentre sul lato sinistro si scarica con un cambio di gioco dopo aver sovraccaricato quello destro oppure si lancia su Mandžukić per sfruttare la sua fisicità con Alex Sandro che attacca la profondità.

Pjanić è maggiormente mobile e riesce ad essere il vero fulcro della manovra. Dybala, agendo da seconda punta, svolge funzioni di raccordo senza però doversi abbassare troppo sia di finalizzazione. Inoltre il crossing-game trova due terminali molto pericolosi in area quali Higuaìn e Mandžukić che molto spesso dà vita a veri e propri mismatch col terzino avversario. Come molti hanno scritto infatti, Allegri ha sostituito Pogba con la tecnica del bosniaco e la fisicità del croato. In non possesso la Juventus alterna fasi molto aggressive di pressing orientato sull’uomo a fasi di difesa posizionale con due linee da 4 compatte, strette e molto ordinate. La Juventus dei mesi seguenti è un condensato dell’idea di calcio dell’Allegri allenatore: un equilibrio di squadra pressoché perfetto e testimoniato ampiamente dagli 0 gol subiti nella doppia sfida contro il Barcellona di Messi, superba rappresentazione e picco massimo di quella Juve.

Osservando la partita di ritorno la sensazione è che se si fosse giocato per altri due giorni, il Barcellona probabilmente non sarebbe riuscito a segnare lo stesso. Su questo equilibrio la Juventus fonda la gestione dei momenti: a tratti di partita in cui si alza il pressing e si cerca di chiudere la squadra avversaria nella propria metà campo si alternano altri di gestione in virtù di una difesa posizionale quasi impenetrabile (la Juventus tra ottavi, quarti e semifinali di Champions League subisce solo un gol). Negli ultimi due mesi che poi portano alla sfortunata finale di Cardiff Allegri porta delle variazioni al tema: Barzagli al posto di Cuadrado con Dani Alves che alza la sua posizione per andare a formare un 3-4-3 in modo, soprattutto, da avere superiorità numerica in fase di impostazione dal basso, poter assorbire meglio le transizioni negative e tenersi il famigerato cambio spacca-partita (Cuadrado).

Molto alto Alex Sandro che con la difesa a 3 può stare ancora più alto. Dani Alves regista occulto.

In finale, dopo un primo tempo giocato alla pari, emergerà nel secondo la superiorità tecnica del Real Madrid nella gestione degli episodi ma soprattutto la poca profondità della rosa per il 4-2-3-1 negli avanti tanto che, infortunato Pjaca, al posto di Dybala entrerà Lemina. Anche per questa stagione la Juventus sfiora il triplete ma si deve accontentare di un altro double pur avendo visto, ad opinione dello scrivente, la migliore Juventus di Allegri e un picco di prestazioni sia individuali che collettive probabilmente irripetibili.


2017/2018 – Problemi irrisolti

di Luca Rossi

Col mercato estivo la Juventus cerca di colmare le lacune nel reparto offensivo consegnando ad Allegri (confermato, ma senza prolungamento del contratto) più cartucce da usare per il 4-2-3-1. Ecco quindi Bernardeschi e Douglas Costa a cui si aggiungono Szczęsny, Bentancur, Matuidi e De Sciglio. In uscita invece Bonucci, Dani Alves, Neto e Lemina. La stagione non inizia sotto i migliori auspici con la sconfitta per 3-2 in Supercoppa contro la Lazio. La strada intrapresa cerca di dare continuità al 4-2-3-1 dell’anno scorso ma fin dalle prime partite (soprattutto contro Lazio e Genoa) emergono delle problematiche non indifferenti nella lettura delle transizioni negative. La Juventus fondamentalmente fatica ad agire come blocco unico. Khedira e Pjanić tendono a difendere in avanti mentre la difesa scappa subito all’indietro dilatando le distanze tra reparti.

Qui contro il Genoa alla seconda giornata

L’atteggiamento maggiormente proattivo dei centrocampisti si sposa male con quello più attendista dei difensori. Inoltre l’assenza di Dani Alves e di Bonucci rendono la squadra sprovvista di palleggiatori. In soldoni gestione meno saggia del pallone e uscita poco sicura dal basso. Questi due elementi portano alla prima sconfitta in campionato contro la Lazio, preceduta da un pareggio non convincente con l’Atalanta.

Qui nella sconfitta in campionato contro la Lazio

Nel frattempo il Napoli va a gonfie vele in campionato e si appropria della vetta. Anche il girone di Champions, terminato al secondo posto, non è stellare con una sconfitta per 3-0 a Barcellona e delle partite poco brillanti contro Sporting Lisbona e Olimpiakos. Come già accaduto nella stagione 2015/2016 Allegri, quando in difficoltà, punta a trovare e cerca di (ri)partire da un equilibrio e una fase difensiva eccellente. Nasce così il 4-3-3 con Khedira, Pjanić e Matuidi a centrocampo e un baricentro più basso. Scelta dettata da molteplici elementi: Khedira fisicamente non è apparso in condizione di coprire ampie zone di campo, molto spesso proiettato in avanti e poco incline a recuperare la posizione; Mandžukić non è più disposto a svolgere il ruolo di ala con la stessa applicazione; le evidenti difficoltà a gestire il pallone sotto pressione con il solo Pjanić ad avere notevoli doti di palleggio rimangono un campanello d’allarme inascoltato. In effetti, una volta marcato il bosniaco la Juventus è sempre andata in grossa difficoltà nell’impostazione dell’azione. Il concetto a cui Allegri di fatti si affida è: difendiamo bene che poi in qualche modo con i campioni la partita la portiamo a casa.

E ha ragione. Dalla partita col Napoli del primo dicembre fino all’andata col Tottenham a metà febbraio la Juventus subisce una sola rete. Il doppio confronto col Tottenham, però, mette a nudo la Juventus e soprattutto l’irrisolta questione della resistenza al pressing: infatti il pressing e contropressing organizzato della squadra di Pochettino, oltre che una gestione del pallone volta a disordinare lo schieramento bianconero, mettono in crisi la Juve che viene dominata tatticamente per ampi tratti di partita. Solo grazie ad un cambio illuminato di Allegri al ritorno e alle giocate di Dybala e Higuaìn la Juventus supera il turno.

Il finale di stagione è thriller, complice un contraccolpo psicologico significativo dopo il doppio confronto col Real. Il pareggio con Spal e Crotone, due mancati match point, portano allo scontro diretto col Napoli con un vantaggio di 4 punti. I Partenopei dominano per 90 minuti la Juventus impartendo una lezione di calcio. Sarri sfrutta tutti i punti deboli mai risolti di questa Juventus che provengono, più che dalla gestione Allegri, dal mercato. La Juventus soffre l’alta intensità avversaria e non è in grado col palleggio di dare il proprio ritmo al match: il Napoli domina e vince 0-1 alla Juventus Stadium. Il vantaggio è di un solo punto. La vittoria in rimonta contro l’Inter e la seguente sconfitta del Napoli contro la Fiorentina portano lo scudetto sulla strada di Torino ma mai come quest’anno la vittoria è stata in bilico contro una squadra, sulla carta, inferiore. La stagione si conclude con il quarto double di fila dopo la vittoria – questa senza patemi – per 4-0 contro il Milan in finale di Coppa Italia.


2018/2019 – Il potenziale e i rimpianti

di Luca Rossi

L’estate 2018 è segnata indelebilmente dal terremoto Cristiano Ronaldo al quale si aggiungono Cancelo, Bonucci, Emre Can, Spinazzola e Perin. Escono invece Higuaìn, Lichtsteiner, Asamoah, Sturaro, Buffon e Marchisio. Il mercato è sontuoso e Andrea Agnelli, durante il discorso alla squadra a Villa Perosa, afferma chiaramente che la Champions non deve essere un sogno, ma un obiettivo. I primi tre mesi sembrano essere in controtendenza con quelli degli anni precedenti perché la famigerata quadra sembra essere stata già trovata. La Juventus vince le partite sfoggiando un eccellente dominio del pallone e degli spazi. Bentancur esplode per continuità e qualità di prestazioni; Cancelo consente un’uscita sicura col palleggio, soprattutto nello stretto, avendo giocatori vicini con cui dialogare (Bonucci, Bentancur stesso, Dybala); le chiavi della manovra sono affidate a Pjanić.

Si osserva inoltre un nuovo modo di difendere della Juventus: non più le due linee da 4 ma Allegri accetta di portare solo 7 giocatori sotto palla, con Dybala, Ronaldo e Mandžukić più alti pronti a innescare le ripartenze. Le partite simbolo di questo primo periodo sono i due match col Manchester in Champions e la sfida di campionato col Napoli. In tutti questi match, finita la partita, si è potuto dire in maniera convinta: “la Juventus è stata manifestamente superiore”.

Da fine Novembre in poi l’andamento delle prestazioni bianconere subisce un brusco calo. Va specificato che la Juventus per l’intera stagione sarà tempestata dagli infortuni: Cuadrado, Douglas Costa, Khedira, Emre Can, Spinazzola tra coloro che hanno saltato più partite. Si tratta di un elemento che senza dubbio ha inciso e ha concorso alla negatività di alcuni momenti della stagione. Dal punto di vista gestionale, Allegri sembra fare un inversione a U abbandonando quell’idea di gioco che tanti frutti stava portando. Si ritorna alle mezz’ali che scappano in avanti con Pjanić e Cancelo lasciati troppo soli. Non a caso la parabola discendente della loro stagione inizia qui; Bentancur cala di rendimento per un lavoro di inserimenti e corsa in verticale che non è propriamente nelle sue corde; Dybala da punta con libertà di spaziare viene relegato a un ruolo di raccordo (‘tuttocampista’, dirà Allegri) che lo snatura: rifinitura e finalizzazione sono la croce e la delizia dell’argentino. Dal dominio dello spazio e del pallone la Juventus passa ad un crossing-game che dà anche i suoi frutti grazie alle due punte ma che poi porterà la Juventus a non avere alternative credibili quando verrà messa alle corde in Europa.

Inoltre, si torna ad un atteggiamento più speculativo che però si sposa male con le caratteristiche dei giocatori in rosa, più inclini a difendere in avanti (Emre Can soprattutto ma gli stessi Matuidi e Pjanić). Le conseguenze si osservano nelle partite di Champions del 2019, uniche partite che contano visto che lo scudetto di fatto viene messo al sicuro già a gennaio. Contro l’Atlético la Juventus attacca e difende male non riuscendo a creare occasioni da gol pulite e concedendo pericolosissime transizioni agli avversari. Al ritorno i bianconeri, con le spalle al muro per via del 2-0 rimediato all’andata, giocano una partita di intensità straordinaria, difendendo in avanti e adottando un contropressing asfissiante che non fa respirare l’Atlético.

Sembra la partita della svolta ma non è così. L’Ajax, che ha eliminato il Real Madrid agli ottavi, gioca un calcio molto inteso e denso di combinazioni nello stretto tra i suoi giocatori offensivi che si tramuterà in una lezione di calcio nel secondo tempo della partita di ritorno. Proprio quando bisognava gestire i momenti, proprio quando bisognava alzare il livello, aspetti in cui la Juventus di Allegri ha sempre brillato, ecco che la compagine bianconera si è ritrovata incapace di farlo, priva di una struttura tecnica o tattica che la potesse far emergere dal maremoto olandese. Di fatto, la sconfitta sancisce il termine della stagione poiché vi è stata la prematura eliminazione in Coppa Italia contro l’Atalanta, squadra per intensità molto simile all’Ajax e che infatti la Juve ha sofferto senza trovare via d’uscita.

Questa stagione è l’unica, tra le 5 di Allegri, in cui si ha la sensazione, e forse qualcosa di più, che non sia stato fatto tutto quello che poteva essere fatto, che il potenziale non sia stato sfruttato al meglio. Anche nelle stagioni precedenti la Juventus si è portata dietro delle incognite ed equivoci tattici per molti mesi, ma si è sempre detto che la squadra aveva fatto il massimo e che al limite erano stati gli episodi a condannarla (il rinvio di Evra, un rigore al 93°) o una squadra più forte a eliminarla (il Barcellona nel 2015, sempre il Real nel 2017 in finale). Quest’anno il discorso è diverso, e probabilmente anche per questo il rapporto tra Allegri e la Juventus è giunto al termine.

 

Sono stati 5 anni entusiasmanti da ogni punto di vista, anche tattico. Allegri ha regalato grandi intuizioni e scelte testarde, coup de théâtre notevoli e atteggiamenti conservatori. Ma una cosa non è mai mancata: la vittoria.

History alone

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