Wojciech Szczęsny, dal ballo alla porta

Tra i tanti luoghi comuni del gioco del calcio, quello del portiere un po’ “pazzo” è tra i più gettonati. Per stare tra i pali, si dice, bisogna essere diversi dagli altri. Wojciech Szczęsny come gli altri non lo è mai stato. Quanti bambini, a soli 7 anni, decidono come lui di dedicarsi alla danza, passando lunghi pomeriggi nelle sale da ballo di Varsavia? «Ho ballato fino ai 10 anni» ha rivelato in un’intervista di qualche anno fa. «Ero già piuttosto alto allora, ma un po’ rigido nei movimenti. La danza mi ha aiutato ad acquisire leggerezza».

Un’agilità non solo fisica ma anche mentale, grazie alla quale Szczęsny è riuscito a sostituire tra i pali della Juventus una leggenda come Buffon senza che quasi nessuno se ne accorgesse. Una leggerezza di spirito che qualche giorno fa lo ha spinto a definirsi scherzosamente il miglior portiere del mondo. «Quando ero alla Roma, Allison rimaneva in panchina. Ora Buffon – il più forte portiere della storia – è il mio vice. Sono il numero uno, no?».

Nessuno gli ha creduto, ovviamente. Ma siamo proprio sicuri che questo giovanotto polacco di quasi 2 metri, che ha appena iniziato la sua terza stagione in bianconero e di cui nessuno parla mai, non sia davvero tra i più forti nel suo ruolo? Per capire meglio quanto valga davvero Wojciech Szczęsny è necessario fare un passo indietro, partendo da quando – appena quattordicenne – suo padre Maciej lo affidò al settore giovanile del Legia Varsavia.

L’importanza di saper aspettare

Oltre ad essere il papà di Wojciech, Maciej Szczęsny è stato il portiere del Legia per quasi dieci anni. Nessuno si stupì dunque quando il padre consegnò il figlio alle cure del suo vecchio amico Krzysztof Dowhan, il preparatore dei portieri del Legia con cui sono cresciuti, tra gli altri, Artur Boruc e Lukasz Fabiański. Dopo un solo anno di allenamenti con Dowhan, il quindicenne Wojciech divenne il portiere più promettente del paese, segnalato dagli scout di mezza Europa. Szczęsny ricevette almeno una decina di offerte prima di accettare quella dell’Arsenal di Arsène Wenger. Il tecnico alsaziano aveva inaugurato da qualche anno il suo “Project Youth”, il programma con cui i Gunners setacciavano le zone meno battute del globo calcistico alla ricerca dei giovani più talentuosi e meno costosi per continuare a competere contro “big spenders” come Manchester United e Chelsea. Szczęsny rispondeva perfettamente all’identikit ideale di Wenger: giovanissimo, molto intelligente e con enormi margini di crescita. Così, nel 2006 il portiere polacco sbarcò a Londra per entrare nell’academy dell’Arsenal. Le sue doti principali, la spinta sulle gambe e la capacità di coprire con sicurezza tutto lo specchio della porta, vennero ulteriormente affinate dallo staff tecnico dei Gunners, tanto da far sembrare imminente il suo ingresso in prima squadra. Ma nell’autunno del 2008 un grave infortunio ne mise addirittura in discussione la carriera: durante una sessione con i pesi in palestra, infatti, Szczęsny si fratturò entrambi gli avambracci, perdendo di fatto il resto della stagione. Il polacco ha un ricordo non troppo felice di quel periodo: «Quando arrivai all’Arsenal guadagnavo 80 sterline alla settimana. Non avevo abbastanza soldi per potermi permettere di uscire e me ne stavo soprattutto a casa. I primi tre anni a Londra li passai tra gli allenamenti e la mia camera».

La forza mentale è sempre stata una delle doti di Szczęsny, che in carriera ha spesso dovuto imparare ad aspettare prima di poter raccogliere i frutti del suo lavoro. Lasciarsi alle spalle l’infortunio non fu semplice, ma iniziò immediatamente a lavorare per farsi trovare pronto per la stagione successiva. E infatti il 22 Settembre 2009 il portiere polacco fece il suo esordio in prima squadra, giocando contro il West Bromwich Albion nel terzo turno di League Cup (l’odierna Carabao Cup).

Ci sono anche Jack Wilshere e Carlos Vela in quell’ Arsenal che possiamo definire “sperimentale”.

La presenza in rosa di altri 3 portieri più esperti di lui (il titolare Manuel Almunia, oltre a Lukasz Fabiański e Vito Mannone), però, non gli lasciava spazio e per giocare accettò il prestito al Brentford, in League One (la serie B inglese). Un campionato lunghissimo, in grado di far accumulare minuti ed esperienza al polacco, che non smise mai di credere in un ritorno a Colney (il centro di allenamento dell’Arsenal) e in una maglia da titolare. Dopo un’annata molto positiva (che gli valse il titolo di portiere del decennio del Brentford), Szczęsny tornò a Londra e il 13 Dicembre 2010 fece il suo esordio in Premier League all’Old Trafford contro il Manchester United, diventando la prima scelta di Wenger per il resto della stagione.

https://youtu.be/BfIN_Sx3vPY?t=93
Qui Szczęsny riesce ad ipnotizzare Rooney. Park Ji-sung aveva però già realizzato il gol dell’1-0 con cui i Red Devils vincono la partita.

L’annata successiva fu una delle più importanti della sua carriera, iniziata parando un rigore decisivo a Di Natale nei preliminari di Champions League contro l’Udinese e conclusa giocando tutte le partite di campionato. Il suo carattere sfrontato in campo e davanti alle telecamere lo fecero diventare in breve tempo uno dei giocatori più amati dai tifosi. Un amore contraccambiato, perché l’Arsenal è sempre stata la squadra del cuore di Wojciech. Una storia d’amore – quella tra il polacco ed i Gunners – lunga quasi 10 anni, proseguita tra molti alti (2 FA Cup e 1 Community Shield, oltre al Golden Glove, il premio al miglior portiere della Premier League per la stagione 2013-2014) e pochi bassi, che però hanno sancito la fine della sua avventura a Londra. Prima il gestaccio ai tifosi dopo essere stato espulso durante l’andata degli ottavi di finale di Champions League contro il Bayern Monaco poi, l’anno successivo, la multa di 20.000 sterline per aver fumato nelle docce degli spogliatoi del St Mary’s al termine della partita (persa) contro il Southampton. Episodi intollerabili per un “educatore” come Wenger, che cominciò a preferirgli David Ospina prima di acquistare nell’estate del 2015 l’ex portiere del Chelsea Petr Cech.

«La mia ultima stagione all’Arsenal è stata pessima» ricorda Szczęsny. «Prestazioni insufficienti, infortuni ed episodi spiacevoli fuori dal campo. L’ambiente non era più quello ideale, anche se il pensiero di lasciare Londra mi faceva stare male». Eppure, la scelta di accettare, a Luglio del 2015, la proposta della Roma e trasferirsi in Italia si è rivelata fondamentale per l’andamento della sua carriera.

Un nuovo inizio

«Come calciatore, la sola cosa che mi interessa è non rimanere fermo. Voglio migliorare sempre» ha detto in un’intervista di un paio di anni fa. «All’Arsenal sono rimasto più o meno sempre lo stesso: qualche volta giocavo bene, qualche volta da fenomeno, altre ho fatto pena. Per un giocatore che ha l’ambizione di arrivare al top, gli alti e bassi non sono una buona cosa. L’esperienza alla Roma mi è servita per questo. Sono cresciuto».

Szczęsny arrivò in una Capitale euforica per i risultati delle due stagioni precedenti, in cui la Roma di Rudi Garcia fu la sola squadra a provare ad impensierire la Juventus. Nella serie A 2015- 2016, però, i giallorossi tradirono le attese e Garcia venne esonerato dopo 19 giornate, sostituito da Luciano Spalletti. Nonostante le difficoltà della squadra, il polacco disputò un ottimo campionato e chiuse la stagione con 42 presenze, il giocatore più impiegato in rosa. Non male per essere la prima esperienza in un calcio diverso da quello inglese. «Nei due anni passati a Roma sono migliorato moltissimo. Ho imparato cose nuove, soprattutto dal punto di vista tattico. In Italia ho perso quell’impulsività che avevo da giovane e sono diventato più maturo. Oggi comprendo meglio il gioco, sono più completo, più a mio agio quando devo comunicare con i miei compagni di reparto».

Una maturità in parte dovuta all’età ma anche alle caratteristiche del calcio italiano che, secondo Szczęsny, è diverso, per alcuni aspetti più impegnativo di quello inglese. «In Italia la preparazione alla partita è differente rispetto all’Inghilterra» dice il polacco. «Qui allenatori come Allegri o Spalletti fanno molta più attenzione alle caratteristiche degli avversari. Si lavora per tutta la settimana in funzione della squadra che si affronta nel week end. All’Arsenal ci preparavamo molto dal punto di vista fisico ma non stavamo quasi mai in sala video. In Italia invece passiamo molto tempo di fronte allo schermo prima della partita per capire quali sono i punti deboli degli avversari e poi per capire cosa abbiamo fatto bene e cosa meno durante il match».

Senza dubbio, essersi affrancato da Wenger e dai suoi metodi di allenamento (che per molti addetti ai lavori non erano più all’altezza del calcio moderno) è servito al portiere polacco che – conclusa l’esperienza romana – dopo una prima stagione di apprendistato come vice di Buffon ne ha ereditato il ruolo di portiere titolare a partire dalla stagione scorsa. Un’annata molto positiva, contraddistinta da interventi spesso decisivi sia in campionato che in Champions League. Ad impressionare è stata la “forza tranquilla” con cui ha occupato i pali della porta bianconera, senza accusare quel nervosismo che anche il più fiducioso dei tifosi si sarebbe aspettato. Quello che impressiona di Szczęsny non è la spettacolarità degli interventi ma la puntualità con cui si fa trovare pronto. E’ la regolarità delle sue prestazioni a colpire chi lo guarda giocare. In una parola, è l’affidabilità – la dote più importante per un portiere – ad averlo reso un punto fermo della Juventus. Fuori dal campo, il polacco è ancora il guascone dei tempi dell’Arsenal: scanzonato, dissacrante, spesso così sicuro di sé da sfiorare la sbruffonaggine.

“I can help you” dice Szczęsny a Paratici nel mezzo di questa conversazione sullo scouting.

A differenza degli anni londinesi, però, tra i pali Szczęsny ha acquisito la freddezza necessaria per essere considerato tra i migliori interpreti del ruolo. I risultati della Juve in Europa ne certificheranno in maniera definitiva lo status internazionale, come è successo negli ultimi anni a Ter Stegen e ad Allison. Di certo, quel bambino di Varsavia a cui piaceva ballare è cresciuto molto. Così tanto da poter sostituire tra i pali del club più importante d’Italia una leggenda del gioco come Buffon.

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