Perché la Juve non gioca sempre come vorrebbe Sarri?

La Juve non è ancora quella che vorrebbe il suo allenatore. Sin qui si sono viste tante cose positive, ma è mancata la continuità, anche all’interno della stessa partita. Contro il Parma a Torino, i due gol sono frutto delle idee dell’allenatore, ma ci sono state cose che non hanno funzionato bene. Quali sono i motivi? Il tempo, il processo di learning e i giocatori.


“Non faccio l’allenatore di me stesso” con questa frase pronunciata più volte nel corso della stagione, l’ultima delle quali, nella 19esima di Serie A, contro i giallorossi all’Olimpico di Roma, Maurizio Sarri ha più volte ribadito, in maniera netta ed inequivocabile, una verità che dovrebbe far parte del bagaglio di qualsiasi allenatore, principiante o professionista che sia: lo sviluppo di un’idea di gioco deve sempre basarsi sui giocatori a disposizione e non trascendere da essi. La prima volta che pronunciò quella frase, fu nella conferenza stampa di presentazione, appena arrivato a Torino. L’idea comune, tra addetti e non, era quella che il tecnico toscano avrebbe riproposto alla Juve lo stesso gioco ammirato a Napoli, il cosiddetto “Sarri Ball”. Lui, chiaro e deciso, spazzò subito via tutti i dubbi: “allenerò questa squadra rispettando le caratteristiche dei giocatori”. Sono passati diversi mesi da allora, la Juve, tra alti e bassi, sta pian piano assimilando i principi di gioco del nuovo tecnico. Sebbene i passi avanti siano stati notevoli, il processo di apprendimento della nuova filosofia, infatti, è ancora in corso d’opera. Alti e bassi, dicevamo, eh sì, perché in questi mesi la Juve ha alternato prestazioni di altissimo livello, fatte di dominio della fase di possesso, difesa alta, pressing, aggressione della palla persa e combinazioni contraddistinte da velocità di esecuzione ed elevata tecnica, ad altre meno brillanti in cui tanto la fase di possesso quanto quella di non possesso hanno lasciato qualche perplessità.

Nel primo gol di Juve v Parma, durante un attacco posizionale contro un blocco da 9, la palla è mossa con pazienza da sinistra a destra e di nuovo a sinistra. L’imbucata su Dybala e il gioco a muro su Matuidi servono a liberare Ronaldo in zona pericolosa.

Ma cosa chiede Sarri alla Juve?

Nel rispetto delle caratteristiche tecnico tattiche dei giocatori a disposizione, Sarri ha fissato, sin dall’inizio, alcuni punti imprescindibili e caratterizzanti la struttura di gioco da lui richiesta. In primis la capacità di difendere in avanti: tra gli aspetti desiderati, questo è quello che forse più contraddistingue il calcio Sarriano, che alla sua base ha l’idea di giocare il più possibile la palla nella metà campo avversaria per creare pericoli costanti e tenere l’avversario lontano dalla propria porta. “Preferisco prendere un gol in contropiede piuttosto che subirne uno con la difesa bassa”, in questa frase c’è molto del modo di intendere il calcio di Sarri, la ricerca del dominio della partita, della supremazia territoriale, il baricentro alto e poi il palleggio al limite dell’area per liberare l’uomo davanti al portiere. Il calcio di Sarri è saper attaccare, scaglionando la squadra con le giuste spaziature, perché attaccando bene, ci si difende meglio. Il perché preferisca difendere in avanti, appare abbastanza chiaro: Sarri ritiene che i vantaggi che derivano dal recupero alto della palla siano superiori all’ipotetico svantaggio di prendere un gol in contropiede anziché difendere di posizione. Da ciò appare abbastanza chiaro quanto la fase di non possesso sia la chiave.

Nel secondo gol di Juve v Parma, la riaggressione della Juve funziona molto bene, Bonucci recupera palla a metà campo grazie al pressing dei compagni e serve Pjanic. Il Parma è mal disposto, Dybala, che farà l’assist, e Ronaldo, che segnerà, attaccano in maniera perfetta la profondità, sfruttando l’intelligente giocata del bosniaco.

Perché sin qui la Juve non è riuscita a esprimersi con continuità?

Ad oggi i risultati non sono certo mancati, anzi, a parte la sconfitta in Supercoppa Italiana, la Juve ha fatto quasi sempre percorso netto. Tuttavia, non sempre, la Juve è riuscita a proporre in campo il calcio voluto dal proprio allenatore. Quali sono stati i motivi di questa discontinuità? Perché prestazioni così diverse tra loro da partita a partita e addirittura all’interno della stessa partita. I motivi sono vari, Sarri non ha portato nulla di nuovo rispetto a quanto ultimamente si vede in giro per l’Europa, ma ha portato molto di diverso rispetto a Massimiliano Allegri.

Il tempo

In questi primi mesi di gestione sono stati introdotti tanti principi diversi, la squadra ha mostrato collaborazione, dimostrando capacità nell’apprendimento, ma a causa delle tante cose da imparare e del poco tempo a disposizione per via delle tante partite giocate, non è riuscita a mostrare continuità in tutto quello che faceva. Difesa a zona, uscita pressing, pressing ultra offensivo, attacco posizionale, aggressione della palla persa, palle inattive e difesa posizionale, questi i macro argomenti tattici da sviluppare, da lavorare in settimana. È comprensibile come le settimane fatte di partita, recupero, partita, recupero e partita, siano il peggior nemico per chi deve non solo portare nuove idee, ma le deve anche far digerire alla squadra. E cosi la Juve ha fatto partite in cui faceva bene una cosa ma meno bene altre, semplicemente perché i giocatori hanno bisogno che, di tanto in tanto, le cose vadano rinfrescate, in modo che nelle solide basi dei principi di gioco, possano esprimere le loro capacità di lettura delle situazioni di gioco. Banalmente è mancato il tempo, il tempo per fare un aggiornamento costante di tutto il sistema, per creare e poi rinfrescare le connessioni, e quanto manca il tempo si va per priorità.

Il processo di learning

Ma è stato solo questo? Chiaramente no, un altro aspetto importante è il livello degli avversari con cui ti confronti e, all’interno della stessa partita, i diversi momenti. La fase di costruzione e elaborazione di un qualsiasi processo vive di fasi, e quando questo processo è chiamato a crescere per adattamento e apprendimento dalle diverse situazioni, è necessario che gli siano sottomessi stimoli diversi. Questo è quello che più o meno è accaduto e continua ad accadere alla Juve, un processo di learning in cui cresci, ti adatti, maturi, acquisisci nuova conoscenza dalla sottomissione di nuovi problemi da risolvere tra partita e partita e nella stessa partita, è un processo del tutto naturale.

La Roma ha stressato il pressing juventino sottoponendo nuovi pattern di uscita, non sempre la Juve è riuscita ad adattarsi correttamente.

I giocatori

Il processo di apprendimento è fortemente condizionato dal fatto che il calcio è uno sport di squadra e che Sarri allena i giocatori a disposizione ma non li ha scelti. La fase di non possesso e il recupero della palla sono fondamentali per Sarri ma richiedono in primis un cambio di mentalità a una squadra e a dei giocatori che per anni hanno fatto della difesa posizionale la loro comfort zone, una “comfort zone” creata e costruita sui risultati. Chiedere a giocatori che hanno vinto tanto di cambiare il loro modo di vincere non è semplice, e il giocatore in generale e alcuni giocatori chiave, in particolare, vanno convinti a livello inconscio. Difendere alti e riaggredire la palla, deve essere naturale, una cosa a cui non bisogna pensare, non si devono avere esitazioni, perché tutto va fatto nei tempi e negli spazi giusti, perché è un sistema che difende e il singolo giocatore, non fa danni, se pensa da sistema. Non va trascurato, infine, che il calcio è uno sport e oltre alle capacità cognitive servono soprattutto quelle atletiche. Sarri sa bene che la rosa a sua disposizione ha caratteristiche atletiche molto diverse rispetto a quella del suo Napoli. La carenza di esplosività sul corto è un problema da non sottovalutare in questa rosa, i pattern di recupero alto della palla non possono essere uguali a quelli del Napoli, ne vanno ricercati e maturati altri, il più in fretta possibile, perché la fase a scontri diretti della Champions League è alle porte.

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